Quando sei fuori
Era più o meno l’una del pomeriggio, quella che noi per tradizione, benessere e fortuna chiamiamo “l’ora di pranzo” quando, nel gelo e sotto il sole limpido che solo l’inverno polacco può regalare, aspettando l’autobus che ci avrebbe portato dal piazzale di Auschwitz all’ingresso di Birkenau, chiesi all’uomo che ci aveva portato per fili spinati e crematori e montagne di scarpe di ogni foggia e dimensione e muri di esecuzione e celle di tortura da quanto faceva quel lavoro, il mestiere di provare a dare forma e sostanza alla parola sterminio e metterla in mano a gente come me. “Otto anni” rispose, con un tono neutro ma vivo. “E com’è?”, chiesi ancora, senza saper articolare meglio la mia curiosità. “Non è il dentro, sono le domande che ti fai quando sei fuori”, mi disse, e quelle parole sono la cosa che mi è rimasta davvero dentro di quella mattina d’inverno a Auschwitz-Birkenau.