Esperienza
Ieri leggevo lo scambio fra due persone che conosco. Discutevano di un aspetto importante della vita: quella professionale, nello specifico, che è comunque un sottoinsieme di quella che facciamo da quando ci svegliamo a quando ci addormentiamo diciotto ore dopo. Discutevano, dicevo, del trasferimento dell’esperienza o, nella neolingua che ormai è la prima pelle di noi del terziario cosiddetto avanzato, l’onboarding dei junior: mio papà direbbe di come si insegna e si impara un lavoro.
Non importa qui cosa sosteneva l’uno e cosa pensava l’altra, in qualche modo è facilmente immaginabile, visto quanto siamo ormai tutti prevedibili (non so se avete anche voi questa sensazione, che in quest’ultimo anno ognuno di noi è diventato il giorno della marmotta di se stesso). A me leggerli è servito a pensare a cos’è l’esperienza. A cos’è per me, oggi che ho un’età che necessariamente me la mette sulle spalle. E mi sono trovato a pensare che per tanto tempo ho creduto che l’esperienza avesse a che fare con il come si tratta il presente: quanto più passato hai alle spalle, quanta più esperienza hai e tanto meglio sai fare quello che devi, che ti viene chiesto. Quante più sono le volte che mi sono allacciato le scarpe tanto meglio lo so fare e infatti non ci faccio nemmeno più caso, è un gesto automatico, una manualità che viene dall’apprendimento e dalla ripetizione.
E però a un certo punto (potrei anche dire con una certa precisione quando) mi sono reso conto che l’esperienza ha molto a che fare con il futuro. Non perché sai fare le cose, quelle cose, ma perché sai di poterle fare (di poter ragionevolmente provare a farle) anche quando non le conosci e non le hai mai affrontate prima. Ho pensato a un paio di grossi cambiamenti lavorativi che ho affrontato, non sempre per scelta: non avevo strumenti, ma avevo accumulato abbastanza esperienza da permettermi di non paralizzarmi di fronte al futuro, sapevo cercare una strada pur camminando al buio o quasi. Insomma, avevo imparato – un po’, solo un po’: gli esami non finiscono mai eccetera – non tanto un lavoro, ma come si lavora, che è uno dei diversi modi, e certo non il meno importante, di stare al mondo. So di avere imparato soprattutto per osmosi, per imitazione: il modo di affrontare una riunione dove ti giochi mesi di preparazione quotidiana e minuziosa vale tanto quanto i mille dettagli che hai messo correttamente uno in fila all’altro per arrivare a un risultato solido e credibile, e non c’è nulla – nulla – come farla per davvero quella riunione in qualità di assistente di uno bravo per avvicinarti a quel nucleo bollente che contiene la sua conoscenza. E’ il solo modo di trasferire esperienza e conoscenza? La sola risposta onesta che ho è che non lo so, ma mi sembrano tempi nei quali discuterne è tanto difficile quanto inutile.