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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    21/08/2008

    Gruesse aus Schwarzwald – 2. I ragazzi del lago

    Filed under: — JE6 @ 20:23

    Non so a voi: a me i laghi mettono un po’ di malinconia. Voglio dire, me ne mettono più di quanta me ne danno il mare e la montagna. Visto il mio carattere, che porta la gente a stupirsi quando mi vede o mi sente ridere (e io al momento sono contento del loro stupore, gli dico “ehi, vedi? non sono quel dannato musone che credevi”; poi ci penso e mi dico che se si stupiscono devono avere le loro buone ragioni, e se le hanno allora sono davvero quel dannato musone che credevano, e così via), non è sorprendente che al momento me ne stia seduto su una panchina in riva al Titisee, un lago della Foresta Nera dalle parti di Freiburg. Potevo andare avanti verso la città, dopo essere stato a trovare il mio vecchio amico e cliente Stephan a Rottweil; poi mi sono ricordato di un week-end di otto, forse dieci anni fa, sette ragazzi e un camper, quando, proprio qui davanti a questo lago, avvertii per la prima volta quanto tutti noi fossimo delle lastre di ghiaccio – qualcuna abbastanza spessa da poter resistere al disgelo e all’estate, qualcuna destinata a sciogliersi lentamente, qualcuna invece a spezzarsi. E allora ho deciso di tornare qui, ho trovato una camera dove dormire e ho costeggiato a piedi la riva fino a trovare la birreria dove tra mille risate e sberleffi che durano ancora oggi feci prendere a tutta la compagnia una birra-e-gazzosa scambiandola per un tipo di birra locale.
    Non so se sono contento di averlo fatto, ma penso che dovevo farlo. Comincia a fare freddo, mi alzo per andare a mangiare qualcosa prima che i turisti slavi che stanno scendendo dal battello del Rundfahrt occupino gli ultimi posti disponibili. Guardo il display del palmare, la luce rossa rimane spenta – è ora di una Rothaus.

    Gruesse aus Schwarzwald – 1. Playback

    Filed under: — JE6 @ 12:53

    Credo che un tocco trash non debba mancare in una pur modesta vacanza – d’altra parte il trash distingue la nostra epoca, e quindi.
    Ricordavo di aver visto, molti anni fa, il cosidetto orologio a cucu più grande del mondo. E mi sono detto perchè no, torniamoci. Le strade sono magnifiche, splende il sole, vado. Sfilo la decina di chilometri di coda di pazzi fermi sulla carreggiata opposta, desiderosi di entrare all’EuropaPark, sorta di microdisneyland teutonica e attraverso questa serie di paesi da cartolina guardando il termometro scendere fino a tredici gradi mentre la strada inizia a salire in mezzo ai boschi della Foresta Nera. Arrivo finalmente a Schonach, pago il mio euro-e-venti di biglietto, entro in questa tipica casa adornata da carriole fiorite, amanite falloidi in gesso e un piccolo mulino ad acqua, osservo gli ingranaggi dell’orologio – saranno alti due metri e mezzo, tutti di legno – ed esco sul giardino nel quale mi siedo in attesa dell’uscita del protagonista. Ed è tutto come mi ricordavo, alla mezza si apre la finestra del secondo piano ed esce questo volatile in legno, lungo forse un metro, che emette il verso più triste del mondo e subito rientra, forse per la vergogna. Una famiglia italiana scoppia a ridere, nemmeno tanto incredula – la truffa gli è costata giusto due interi e due ridotti, tre euro e ottanta in tutto – e sento l’uomo dire alla moglie “Sai Chiara, sto pensando di mettere in giardino un enorme fallo di gomma, il più grande del mondo, e farci pagare per la visione”. Sorrido amaro, a Milano non ho un giardino per impiantare il business.

    Greetings from Alsace – 3. Siamo tutti Maginot

    Filed under: — JE6 @ 10:05

    Il memoriale della Linea Maginot a Marckolsheim si incastra tra quello che pare essere un impianto di stoccaggio e raffinazione e lunghissimi campi di mais. Lo si visita in fretta, la casamatta fortificata – una specie di sommergibile da terraferma in cemento armato – un pezzo di ponte e quattro veicoli corazzati. Ma i simboli hanno una forza che va ben oltre ciò che mostrano agli occhi; la Maginot, la linea di difesa che mai i tedeschi avrebbero potuto valicare, non venne mai usata perchè i tedeschi stessi non fecero altro che girarci intorno da nord. Centinaia di chilometri di bunker, cannoni, fortificazioni: tutto inutile. Guardo questo pezzo di passato, che oggi finalmente trova un suo scopo – imprevisto per il suo ideatore, certo – e non riesco a non pensare a quanto ci affanniamo per difenderci, per attaccare, per prevedere i comportamenti altrui, per controllare tutto nella presunzione di essere gli unici artefici del nostro destino. Poi arriva l’imprevisto, ci aggira da nord ed eccoci giocati, anche dormire con la luce accesa per la paura del buio non è servito a niente. Monsieur Maginot era un militare di professione, ma pure un filosofo: senza saperlo.