La moglie e il marito
Ho questa mania, che ad ogni fermata alzo gli occhi dalla mia copia della Gazzetta e guardo chi entra. Non ho un motivo particolare per farlo, non mi aspetto di incontrare persone conosciute (anche se ogni tanto capita) o di vedere apparire una top model o una pornostar; credo, semplicemente, di essere curioso e basta. Sta di fatto che li vedo entrare, e rimango colpito dal fatto che lui le cede il passo, e riesce a farlo nonostante la ressa dell’ora di punta. Avranno una quarantina d’anni entrambi, e non mi serve guardare loro le mani cercando la fede all’anulare sinistro per capire che sono marito e moglie. Di coppie se ne vedono tante, in metropolitana, ma questa ha qualcosa di particolare: danno l’impressione di essere in gita, anche se tutti e due sono vestiti come se stessero andando in ufficio. Mi immagino che abbiano accompagnato il figlio a scuola, e chissà lui com’era contento per il fatto che per una volta c’erano mamma e papà a salutarlo prima delle sue otto ore di lavoro; e mi immagino che adesso stiano andando a sbrigare qualche commissione – la banca, un notaio, forse una polizza assicurativa – e che questo sia un modo per essere vicini, cosa che non riescono a fare come e quanto vorrebbero. Mi chiedo da quanti anni stanno insieme, dieci, quindici, chissà, e mi chiedo come dev’essere. Io non lo so com’è stare con una persona per così tanto tempo, per una vita, non so cosa vuol dire viverci insieme e avrei la tentazione di andare a chiederglielo cosa significa – alzarsi, darsi il cambio per fare la doccia, salutarsi un po’ in fretta, rivedersi la sera, cercare di lasciare fuori dalla porta i nervosismi della giornata lavorativa, mettersi la cravatta o la gonna sopra il ginocchio per piacere proprio ma soprattutto per piacere dell’altro. Li guardo scambiare quattro chiacchiere, e mi pare di intuire che quello che osservo non è silenzio vuoto, ma qualcosa di più e di più bello, come se non avessero bisogno di annegarsi reciprocamente di parole per scambiarsi qualcosa. Mi chiedo se non mi sto creando dal nulla la mia personale versione della commedia romantica metropolitana, perchè magari invece non hanno proprio niente da dirsi e nemmeno vogliono averlo e la commissione che devono sbrigare è quella dell’avvocato divorzista; però è venerdì e ha smesso di piovere e abbiamo tutti voglia di qualcosa di buono. Arriviamo a Porta Venezia, si aprono le porte del vagone, lui le fa un piccolo cenno e la fa passare. Le porte si richiudono, e io passo alla pagina del Fantacalcio.
April 3rd, 2009 at 13:32
chapeau!
April 4th, 2009 at 07:20
è una cosa molto simile a quella che capita di fare a me quando vedo entrare delle coppie nel mio ufficio o mi guardo in giro per strada.
e sorge un po’ di invidia (un po’ me ne vergogno) quando vedo affiatamento e soddisfazione nello stare insieme.
chapeau
April 5th, 2009 at 10:03
Io potrei raccontarLe un sacco di cose sulle convivenze lunghe, ma non lo farò.
Mi preme solo dirLe quanto la Sua prosa scivoli senza inciampi.
Non invade, il suo scritto, lambisce, contenuto, l’interesse del lettore, anche disattento.
Constato.
Basta.
April 7th, 2009 at 01:04
Bravo! E’ piaciuta anche a me! Perchè mi è sembrato di esserci io su quella carrozza della Metro, stesse idee e medesime curiosità quando mi trovo davvero in quelle situazioni, fingendo sempre di non guardare e non sentire nulla, ovviamente… Ciào!
April 7th, 2009 at 07:57
sì