Greetings from Budapest – Mentre la palla si insacca
Ha smesso di piovere. Mi siedo a mangiare, all’aperto, in fondo è quasi estate. Alle nove meno un quarto sento arrivare dalla piazza che sta alle mie spalle, a un centinaio di metri di distanza, una musica che mi pare di conoscere. Ascolto meglio – l’inno russo, ecco cos’è. Già, sta per iniziare la partita, Polonia-Russia. E’ bello, penso, che qui si possa sentire quell’inno in pace, senza ostilità, senza riportare alla memoria i carri armati del 1956, i russi invasori, la dittatura, alla fine forse è vero che il tempo cura qualsiasi ferita. Mi alzo, pago, torno verso la piazza nella quale è stato montato il maxischermo che trasmette le partite degli Europei di calcio. Ci saranno un centinaio di persone, quasi tutte sedute ai grandi tavoli di legno che occupano il prato centrale, alcune si sono portate una coperta, un plaid da appoggiare sulle panche umide di pioggia. Poco dopo il quarto d’ora, la Polonia triangola davanti all’area di rigore russa, parte un passaggio smarcante e mentre la palla corre verso la porta i cento ungheresi seduti a guardare una partita di un torneo al quale la loro nazionale non partecipa alzano la voce per accompagnarla e quando la palla arriva sui piedi dell’attaccante che si è trovato solo davanti al portiere qualcuno tra i cento ungheresi si alza in piedi e tutti gli altri gridano un po’ di più e mentre la palla si insacca nella porta russa i cento ungheresi urlano gol e si abbracciano e subito dopo si disperano e imprecano perché l’arbitro ha annullato il gol dei polacchi – fuorigioco, fottuti russi, se la sono cavata. Mi incammino verso l’albergo. Forse è vero che il tempo cura qualsiasi ferita, a patto che il tempo sia abbastanza lungo.