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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    12/06/2012

    Greetings from Budapest – Mentre la palla si insacca

    Filed under: — JE6 @ 23:55

    Ha smesso di piovere. Mi siedo a mangiare, all’aperto, in fondo è quasi estate. Alle nove meno un quarto sento arrivare dalla piazza che sta alle mie spalle, a un centinaio di metri di distanza, una musica che mi pare di conoscere. Ascolto meglio – l’inno russo, ecco cos’è. Già, sta per iniziare la partita, Polonia-Russia. E’ bello, penso, che qui si possa sentire quell’inno in pace, senza ostilità, senza riportare alla memoria i carri armati del 1956, i russi invasori, la dittatura, alla fine forse è vero che il tempo cura qualsiasi ferita. Mi alzo, pago, torno verso la piazza nella quale è stato montato il maxischermo che trasmette le partite degli Europei di calcio. Ci saranno un centinaio di persone, quasi tutte sedute ai grandi tavoli di legno che occupano il prato centrale, alcune si sono portate una coperta, un plaid da appoggiare sulle panche umide di pioggia. Poco dopo il quarto d’ora, la Polonia triangola davanti all’area di rigore russa, parte un passaggio smarcante e mentre la palla corre verso la porta i cento ungheresi seduti a guardare una partita di un torneo al quale la loro nazionale non partecipa alzano la voce per accompagnarla e quando la palla arriva sui piedi dell’attaccante che si è trovato solo davanti al portiere qualcuno tra i cento ungheresi si alza in piedi e tutti gli altri gridano un po’ di più e mentre la palla si insacca nella porta russa i cento ungheresi urlano gol e si abbracciano e subito dopo si disperano e imprecano perché l’arbitro ha annullato il gol dei polacchi – fuorigioco, fottuti russi, se la sono cavata. Mi incammino verso l’albergo. Forse è vero che il tempo cura qualsiasi ferita, a patto che il tempo sia abbastanza lungo.

    Greetings from Budapest 2012 – Scarpe, rose, lumini

    Filed under: — JE6 @ 23:21

    Mi piacciono le città  con i fiumi, attraversate, costeggiate, tagliate dai fiumi. E in fondo non importa se l’acqua non è azzurra ma color fango come quella del Danubio, per le favole bastano i film di Sissi e la marcia di Radetzky a Capodanno. Cammino lungo una delle due rive, senza capire in quale direzione si muove la corrente, confusa dal passaggio delle chiatte e dei bateau mouche e dal vento che porta pioggia. Cammino verso il Parlamento. E’ una città  magnifica, Budapest – almeno in questa sua parte centrale, la collina di Buda, i grandi palazzi di Pest, la vecchia capitale di una grande monarchia. Però adesso non vado per guardare i resti della grandezza passata. Cerco altro. Ci sono una ventina di metri di riva lungo i quali sono piantate delle scarpe di metallo. Me le ricordo, le ho viste anni fa. Sono tante, sono decine, sono scarpe col tacco, scarponi da contadini, scarpette di bambini piccoli, scarpe da ufficio. Scarpe, piantate nel terreno, con le punte rivolte verso l’acqua. Accanto ad alcune di esse si vedono delle piccole candele, come quelle che si lasciano galleggiare nell’acqua, poste come si fa su un altare, o su una tomba. Da una, da una scarpa da donna con il tacco alto, slanciata, con la punta stretta esce una rosa rossa, ancora fresca. Poco distante una targa, anch’essa piantata nel terreno, spiega che quelle scarpe sono un monumento alla memoria delle persone che furono uccise tra il 1944 e il 1945 dai miliziani della croce frecciata, ungheresi filonazisti che mettevano la gente in riva al fiume e poi sparavano, così non avevano nemmeno il pensiero di dover portare i corpi in qualche fossa comune. Mi piacciono le città con i fiumi, sembra che tutto scorra via e invece qualcosa rimane, sempre.