Tempo irreale
Se prendi un informatico serio (ma se non ce l’hai sottomano basta anche Wikipedia) questo ti spiega che real time non significa quello che ormai siamo abituati a pensare, ti dice che un sistema real time è qualcosa che esegue un certo compito, e quindi raggiunge un determinato obiettivo, nel tempo prestabilito: che può essere anche lungo, anche molto lungo; ma, prima di tutto, preciso: nessun ritardo, nessun anticipo.
Ma il mondo non è fatto né regolato dagli informatici seri. E così è successo che a un certo punto abbiamo preso a dire real time usandolo come sinonimo di “immediatamente”, “ora”, “adesso, proprio mentre parlo/scrivo/guardo”. Quando e soprattutto perché questo sia successo io non lo so. C’ero sicuramente, ma non me ne sono accorto: dormivo, o quanto meno sonnecchiavo, insomma. E così oggi per me, come per chiunque io conosco, il tempo reale è quella cosa lì. E’ adesso. E se il tempo reale è adesso, ciò che non è adesso non è reale. Se la scossa arriva alle 6.28 io devo dire qualcosa alle 6.29 al massimo: non perché abbia un obbligo contrattuale, non siedo a un desk né mi chiamo Serra o Gramellini o Barenghi (che poi questi arrivano il giorno dopo, un po’ come Sky con i canali +1); no, semplicemente perché ormai penso che, appunto, la vita è adesso. Ogni tanto si sente qualcuno dire “beh, ma che fine ha fatto X”, dove X è una persona, un fatto – Ryan Lochte, lo scontro dei treni in Puglia – che per un giorno, forse due è stato tutto, è stato il tempo, e poi puf: e la risposta è che non lo sappiamo la fine che ha fatto, perché da quel giorno sotto i ponti è passato un sacco di tempo reale, e ormai il tempo di X non è più adesso. E’ altro, e irreale.