What’s next?
E’ che si ha bisogno dei simboli, perché in realtà alla fine non c’è differenza tra ieri e oggi (e non ce ne sarà tra oggi e domani), come non ce n’è tra il 9 del martedì e lo 0 del mercoledì. Dura poco il fascino di quel simbolo, dura il tempo di capire che la gente che hai intorno nel vagone che ti porta in centro quell’aureola che ti senti addosso non la vede mica, che la macchina gira come al solito, le mail, le telefonate, le scadenze, i conti, e che in fondo è giusto così, va bene così. Poi stacchi per qualche minuto, quanto basta non per tornare indietro – ché per quello ci vorrebbe davvero troppo tempo – ma per chiederti e adesso che si fa? e risponderti cercando già qualcos’altro da fare, un obiettivo al quale ne seguirà un altro e un altro ancora così ti troverai senza accorgertene al prossimo 9 che diventerà 0, sperando di continuare a sentire quella vocina che ti dice con dignità ti prego, con dignità.