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03/07/2016
Il fatto è che invece è anche da quei particolari che si giudica un giocatore. Come arrivi al dischetto, come appoggi il pallone, se e come guardi il portiere avversario, se sorridi nervosamente, se tossisci, se fai lo sbruffone e una decina o un centinaio di altre cose ancora – perché le metafore sono una cosa seria.
14/06/2016
Se ci spariamo addosso con tanta facilità è perché siamo in tanti a essere sciroccati per un motivo o per l’altro. E poi perché siamo liberi. Pure di comprare un aggeggio che fa secca la gente come nemmeno nei cartoni animati. Quindi se fossimo un po’ meno liberi saremmo, forse, un po’ più vivi. Beh, sai che tutto sommato.
12/04/2016
Se Doina Matei non avesse aperto un profilo Facebook e non avesse postato le sue foto, molto probabilmente nessuno avrebbe saputo della sua semilibertà e quindi del suo diritto ad andare al mare come chiunque altro, e lì di farsi e farsi fare foto che la ritraggono sorridente e abbronzata, come chiunque altro che può farsi qualche giorno o qualche ora di vacanza. Perché abbia aperto quel profilo e abbia postato le sue fotografie, è una cosa che a me sfugge: se non lo avesse fatto, la sua vita non sarebbe cambiata di una virgola, la sua semilibertà, il suo obbligo di rientro a una certa ora, la sua possibilità di andare al mare e abbronzarsi. Mi chiedo se lo ha sventatamente deciso da sola o se è stata consigliata, se non ha pensato che avere un diritto (Gad Lerner dice il diritto al sorriso; forse più in generale si potrebbe dire il diritto di avere una vita nei limiti che ti sono consentiti) non significa essere obbligati al suo esercizio completo (che include mostrarla, quella vita) o se qualcuno l’ha spinta per una qualche forma di sfida. Io non so se i nove anni che Doina Matei ha passato in carcere sono tanti o pochi: non so né come li ha passati né come è lei oggi dopo tutto quel tempo. So che ha un diritto, che lo ha esercitato e che è giusto e persino doveroso sostenere questo suo diritto. Non riesco a togliermi dalla testa che questo: mostrarsi, ecco, questo se lo poteva risparmiare (e no, non penso ai familiari della donna che ha ucciso). Non lo ha fatto e non facendolo non ha commesso nessun reato, non ha mostrato nessuna mancanza della legge, non ha fatto da testimonial di alcuna forma di lassismo o di sfregio verso la società civile. Ha solo fatto, sventatamente, una cosa che per puro e semplice egoismo le sarebbe convenuto non fare, mostrando che in fondo il problema non è suo, ma nostro.
16/03/2016
Qualche settimana fa, non avendo di meglio da fare (e avendo al tempo stesso buchi culturali da gruyere cosmico) mi sono letto “On Liberty” di John Stuart Mill. Lettura interessante e istruttiva, niente da dire. Se non fosse per quel punto dove JSM dice, più o meno: “guarda che per difendere le tue idee devi conoscere le idee altrui; e le devi conoscere bene, a fondo: non per sentito dire, nemmeno da fonti che tu consideri serie e affidabili; no no, ci devi mettere del tuo: leggere, ascoltare in prima persona, altrimenti non vale”. Sembra sensato, lo so. Anzi: è sensato, lo so. E’ che io non ce la faccio, non riesco a decidere consapevolmente di mangiarmi il fegato per la superiore e approfondita conoscenza di – di che cosa, poi. Prendi il tipo che mi stava seduto a fianco in metropolitana ieri sera. Dodici fermate a guardarsi e ascoltarsi (con le cuffie, grazie a Dio) un video di Di Battista sorridendo e facendo sì con la testa, e finito il video a leggersi decine di commenti ci siamo capiti di che genere (in una pagina ci sono i punti esclamativi che io ho usato da quando ho imparato a scrivere a oggi, occhio e croce; e “ladri” e “banditi” e “gente” e tutto il resto dell’armamentario retorico). Magari il tipo era – è – una bravissima persona, è uno che torna a casa e gioca con i figli e fa volontariato e passa a trovare la mamma vedova almeno una volta alla settimana: diciamo che il problema non è lui, sono io*: che dopo tre volte ho pensato che di Di Battista avevo sentito a sufficienza, che guardo quello che lo ascolta entusiasta e penso “ma sei scemo” senza punto di domanda, che più passa il tempo e più sento che di tempo ne ho sempre meno da dedicare all’esercizio della democrazia e del confronto del pensiero. Sono io: non vi reggo, vi reggevo poco prima, non vi reggo proprio più adesso.
*Lo stesso io che non riesce più a guardare non dico i talk politici, ché quello è fin troppo facile: ma pure gli italiasgottalent, i takemeout, i tigiuno e una montagna di altra roba. Per dire.
14/03/2016
Occhio e croce, a prima che un candidato alla presidenza degli Stati Uniti (rileggere, please: uno che in ipotesi potrebbe diventare il famoso uomo-più-potente-del-mondo) dicesse di un altro candidato alla presidenza degli Stati Uniti che siccome size matters c’era da preoccuparsi perché le dimensioni dei genitali dell’avversario (per inciso: stesso partito; dagli amici mi guardi Dio, bisogna sempre dar retta alle nonne) richiedono non proprio il microscopio ma almeno la lente di ingrandimento.
Oppure a prima che due ragazzi di buona famiglia massacrassero un loro coetaneo per vedere l’effetto che fa.
Oppure a prima che un candidato a sindaco della capitale di un grande paese dell’Occidente industrializzato suggerisse a una sua possibile concorrente (per inciso: stessa coalizione; vedi sopra, circa) di lasciar perdere e dedicarsi a fare la mamma.
Oppure a non so, fate un po’ voi.
17/02/2016
Non so voi, forse ai tempi non ero abbastanza attento, forse ero immotivatamente fiducioso, forse non leggevo Quattroruote, forse non ero consapevole del traffico cittadino – vai a sapere -, ma quando molti anni fa Gioele Dix spopolava con il suo personaggio dell’automobilista perennemente incazzato non pensavo che in pochissimo tempo quella sarebbe diventata una sineddoche buona per definire un intero paese e i suoi abitanti.
14/11/2015
Quando scoppiavano le bombe, noi c’eravamo. Ce lo ricordiamo, e pure abbastanza bene. Ci ricordiamo dov’eravamo quando abbiamo saputo la notizia, lo sgomento dei nostri genitori che provavano al tempo stesso a spiegarci le cose e a proteggerci dalla nozione del male insensato, e alcuni di noi ricordano pure la sensazione delle gocce di angoscia che si accumulavano, una per ogni minuto di ritardo, quando qualcuno non rientrava a casa in un’epoca senza cellulari. Scoppiarono per un sacco di tempo, le bombe. E per un tempo persino più lungo spararono le pistole e i mitra. C’eravamo, lo sappiamo. Ne siamo venuti fuori, e sarà bene ricordarcela, questa cosa che ci siamo riusciti, perché se ce l’abbiamo fatta una volta ce la possiamo fare una seconda, e una terza. Sarà anche bene non raccontarci la favola che ce l’abbiamo fatta continuando a vivere come prima, perché non è vero. Siamo stati costretti a cambiare, a sottoporci a limiti, privazioni e violenze legali delle quali avremmo volentieri fatto a meno, perché è stato necessario. Se ti viene la febbre, se qualcuno ti attacca un virus, prendi gli antibiotici: che è una cosa che altrimenti non faresti, e invece. E se la malattia è qualcosa di più grave, ti aggiusti di conseguenza: come chi si inietta l’insulina ogni giorno, come chi fa la dialisi due volte alla settimana per tutta la vita, perché quello ti tocca, a mali estremi eccetera. E con certe malattie ti rendi conto che non guarisci, ti rendi conto che per combatterle devi cambiare per quanto questo ti sembri ingiusto, cambiare fino al punto che ti metti davanti allo specchio e fai fatica a riconoscerti perché hai perso i capelli o sei gonfio di cortisone. E’ stato così anche con le bombe, quando scoppiavano, e noi che c’eravamo lo sappiamo, ce lo ricordiamo. Anche se non vogliamo ricordarcelo.
21/10/2015
Ma voi, onestamente, in generale ci state capendo qualcosa? E se sì, come fate?
15/09/2015
E’ una bella fregatura, l’abitudine. Passi davanti alle cose oggi domani e dopodomani e alla fine non le vedi più, chiedi a quelli che ogni mattina escono dalla metropolitana e passano davanti al Duomo. E’ come con le foto che tieni in casa sulle mensole, loro sono sempre lì con i sorrisi, gli occhiali fuori moda, le spiagge assolate, i vestiti della cresima, tu passi e dopo un po’ non guardi più, ti ricordi che caldo faceva, ah, ehm, faceva caldo, sì, vero. E insomma cos’è che tiene viva la memoria io non lo so, so che non è il tenere in vista perché altrimenti non saremmo tutti così dimentichi di noi stessi, anzi forse quello è un modo per perderla, la memoria, mettere i ricordi nascosti in bella vista sotto gli occhi, perché altrimenti come potresti abitare a Budapest e camminare lungo quel pezzo di Danubio dove hanno piantato le scarpe di metallo che ricordano la più gigantesca e veloce deportazione della storia europea e la gente che veniva uccisa dai miliziani della Croce Frecciata, mettetevi in riva così non dobbiamo fare nemmeno lo sforzo di scavare una fossa comune, ci penserà il fiume, come potresti farlo e chiuderti dentro il filo spinato e non essere sfiorato dal dubbio che stai tornando indietro di settant’anni, che stai assomigliando sempre più a tuo nonno, che hai dimenticato da dove sei scappato, e infatti ci stai tornando.
03/09/2015
“Se fossero sinceri ce lo direbbero. Ci direbbero che con tutta la gente che muore, chissene frega dell’arte. Ma sbagliano. Perché è per questo che noi combattiamo, per la nostra cultura, e per il nostro stile di vita. Puoi sterminare una generazione di persone, radere al suolo le loro case, troveranno una via di ritorno. Ma se distruggi i loro conseguimenti, e la loro storia, è come se non fossero mai esistite, solo ceneri, che galleggiano. Quello che vuole Hitler, ed è la sola cosa che non possiamo permettergli.” A volte cerchi di elaborare in pensiero una roba che ti gira nello stomaco, senza riuscirci perché te ne mancano gli strumenti o perché quando ti pare di esserci vicino succede qualcosa che ti scombussola le priorità più o meno faticosamente costruite. Una di quelle robe che gira nello stomaco per me è la distruzione delle opere d’arte dell’antichità, i Buddha di Bamiyan, il Tempio di Bel di Palmira, i musei in Iraq, sono cose che leggo il titolo e poi mi tappo le orecchie e faccio lalalalalala perché mi fanno male in un modo che nemmeno capisco – fino a quando non arriva George Clooney a spiegarmelo in un minimonologo di Monuments Men (per dire che le vie del Signore sono davvero infinite).
Che poi di quello stile di vita per il quale combattiamo, più o meno consapevolmente, fa parte anche il passare ore ad accapigliarsi sulla pubblicazione di una fotografia e/o su un titolo che la accompagna, proprio perché ce lo possiamo permettere, perché stiamo (ancora) al sicuro e al caldo e al fresco a seconda della stagione. Come sopra, non ho un pensiero elaborato, mi sa che non c’è una ricetta valida sempre e per tutti, c’è chi quella foto non ha bisogno di vederla per sapere davvero cosa succede in Siria e nel mare e sulle montagne che la separano da un’esistenza meno lontana dalla morte e c’è invece a chi quella foto serve per aprire gli occhi e chi può dire che il primo è bravo e il secondo no o viceversa. In generale non credo che queste discussioni siano tempo perso perché ci permettono di pensare a chi siamo, alle cose che facciamo, a quelle che leggiamo e guardiamo e ascoltiamo, a come reagiamo, a come le assorbiamo un po’ alla volta ogni giorno e a cosa diventiamo il giorno dopo, insomma un pezzo del modo in cui stiamo al mondo (ed è una cosa, questa del pensare anche nelle situazioni più tragiche e incasinate, che ci portiamo dietro da più o meno tremila anni, secolo più secolo meno, ce l’hanno passata i Greci che nelle pause tra uno scannamento e l’altro inventarono la filosofia occidentale). In tutto questo mi viene in mente che in tantissimi racconti dell’Olocausto c’è il ma noi non sapevamo, non immaginavamo pronunciato da brava gente in tutta Europa, gente che non aveva né voglia né interesse di girare la testa come fecero migliaia di contadini della Slesia per continuare a vivere in una specie di pace ottusa e ai quali, forse, vedere per tempo qualche fotografia di Birkenau avrebbe fatto bene (che poi chissà, visto che la più frequente reazione che i sopravvissuti ai lager si vedevano opporre ai loro racconti era un misto di rifiuto e incredulità così netto da uccidere una seconda volta quelle persone, aggiungendo quella che alcuni di loro avvertivano essere l’atroce beffa dell’essere rimasti una seconda volta in vita).
Onestamente spero di non essere il solo, ma a volte mi succede questa cosa, leggo i commenti a una certa questione e cambio idea a (quasi) ogni commento – ma mica perché sono d’accordo con il commentatore. Anzi.
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