|
|
31/05/2010
Una volta, quando qui era tutta campagna, eravamo in pochi. Quattro gatti, forse otto. Camminavi tranquillo per strada, incontravi quella manciata di amici e conoscenti sulla strada per andare in ufficio o su quella per tornare a casa, o durante la pausa pranzo. Per organizzare una bevuta al venerdì sera ci impiegavi dieci minuti.
Poi hanno costruito le case, i grandi palazzi, quelli da otto piani e cinque scale, uno via l’altro. Quartieri interi, e poi città. E’ arrivata la metropolitana, hanno tirato su il centro commerciale – un ipermercato e sessanta negozi. Tanta gente. E’ bella la gente, la gente è colorata, allegra, ride e scherza e fa le foto, e se oggi i tuoi tre amici sono occupati per i fatti loro – uno che parte per andare al mare con la fidanzata, uno al corso di free climbing, uno semplicemente stanco che ha voglia di mettersi davanti alla televisione per guardare un film – qualcuno per la birretta o il concertino lo trovi sempre. E’ bella la gente, ma devi stare attento, perché ma come non ti sei accorto che quello ci sta provando e guarda che quei due stanno insieme e quegli altri hanno litigato e quello se l’è presa che hai invitato tizio e caio e non sempronio, è bella la gente ma ognuno è il centro di una stella e alla fine con i sei gradi di separazione tu vorresti stare con un amico e finisci ogni volta per essere con trenta persone – quindici lì e quindici che chattano con i quindici al tavolo e ognuno di questi che sbircia nello schermo altrui per sapere chi e cosa e come e quando.
E’ bella, la gente.
20/05/2010
Vengo spesso all’Albergo FF. C’è sempre qualcuno da vedere, c’è sempre qualcuno che fa qualcosa. Se vieni a mezzanotte trovi il gruppetto che fruga negli archivi per trovare la canzone che ti dovrebbe far addormentare tranquillo, e c’è sempre uno che la trova e c’è sempre uno che gli dice oh che bella questa, quanti bei ricordi, grazie di averla messa su. Se passi alle tre c’è quello che ritorna dall’uscita con gli amici e ti fa l’elenco di quanta roba si è scolato, come se poi a te potesse davvero interessare quale bottiglia avesse in mano mentre girava intorno al Monumentale a ridere dei trans al lavoro. Se passi alle quattro c’è il gruppetto degli insonni, quello che studia e quella che ha gli incubi e quella che non riesce a staccarsi dal libro e tu prendi qualcosa perché a me le benzodiazepine non hanno mai fatto nulla. Alle sette inizia a riempirsi la sala della colazione con le sue facce assonnate e le sue borse sotto gli occhi, mentre nella hall vedi sempre qualcuno che esce di corsa dall’ascensore sapendo di aver già perso il treno e si prepara all’ennesimo rimprovero del capufficio. C’è chi sfoglia i giornali, chi butta un occhio allo schermo che passa Sky Tg24. C’è chi fa una telefonata alla moglie, chi chiama un taxi. C’è quella che occupa mezza sala con le valigie che le servono per andare in qualche posto esotico, e chissà che tempo fa e chissà la nube del vulcano. Durante il giorno c’è sempre un viavai al quale si fa l’abitudine, a volte la gente è nervosa e si manda affanculo senza un motivo vero e proprio, una gomitata data inavvertitamente al bancone del bar, una parola detta in un modo e capita in un altro. Ogni tanto arriva un cliente, prende la chiave della sua camera, manda un messaggio, prende l’ascensore e sparisce, e dopo cinque minuti arriva una ragazza in maglietta e jeans, o un uomo elegante in completo blu e cravatta bordeaux che sale senza dire nulla, e si ferma allo stesso piano di quel cliente. Ci sono sempre dei gruppi, a volte arrivano insieme, altre volte si riuniscono alla spicciolata, e non vanno in camera ma nelle meeting room, si chiudono dentro e se tu passi in corridoio e ti fermi davanti alla porta di quella stanza li senti che ridono e hai visto che cazzo di gonna si è messa su e che stronzata ha scritto ma è proprio un cretino e speriamo che a quella festa piova a dirotto.
A volte me ne sto seduto lì nella hall, perché io non sono proprio un campione di socievolezza e guardo la gente che passa, a volte mi sembrano tutti belli e spigliati e mi immagino le vite magnifiche che hanno, i figli campioni di baseball, i lavori che li portano in giro per il mondo, gli strumenti suonati da professionisti, sesso fantastico tutte le notti. Sto lì a guardare, fin quando i gruppetti vanno nelle loro stanze e la hall si svuota. Capita che mi trovo vicino a una donna, che sta in silenzio anche lei, alternando un’occhiata a una rivista a una alla gente che ci passa davanti. L’altra sera mi sono azzardato a chiederle se le andava di uscire, fare due passi e bere qualcosa insieme. Lei mi ha guardato con un’espressione strana, ha sorriso e mi ha detto “con piacere, ma sono astemia”. Ho sorriso anch’io, le ho risposto che non importa; ci siamo alzati, abbiamo dato al portiere le chiavi delle nostre camere, siamo usciti. Al bancone del bar due clienti stavano parlando dell’iPad.
10/05/2010
Uno dei non molti motivi per cui penso che valga la pena continuare a frequentare blogosfera e socialcoso (chiedo venia ai non iniziati per l’uso di questo brutto slang) è una certa forma di gratuità che ancora guida i comportamenti di alcuni. Sette anni fa mi arrivò una mail di Luca, che allora si faceva chiamare Uiallallà, che si offriva di farmi il template del blog. A gratis. Lo fece. Oggi tutto l’ambaradan tecnico dell’accrocchio che state leggendo è gestito, nel tempo libero, da un omino che alberga nella Provincia Granda – e non ricordo nemmeno di avergli ancora offerto una birra o due per sdebitarmi. Ogni anno, dal 2003, mi diletto a rompere le scatole a amici e conoscenti e amici degli amici per mettere in piedi il PslA – e nessuno ci ha mai fatto su un ghello. Di esempi così se ne possono citare diversi – non saprei dire se tanti o pochi. A me, ogni volta che capita di imbattermi in uno di essi, prende una specie di allegro sconcerto che mi fa passare sopra tutte le inevitabili imperfezioni delle cose fatte dai non professionisti, dai non esperti, dagli amici per amicizia. C’è tutto un altro mondo, che uso e nel quale talvolta lavoro, che giustamente chiede massima cura in cambio di soldi e/o tempo. In questo microcosmo, finché dura, mi piace dare e vedere dare valore ad altre cose, come se fosse una specie di piccola riserva indiana.
25/04/2010
Ti ricordi quello che diceva “resistere, resistere, resistere”?
Io sì. E sai, siccome è passato tanto tempo alla fine non è più così importante il motivo per cui lo diceva, quale fosse la goccia che aveva fatto traboccare il suo vaso. Non è quella la cosa che veramente conta. Forse non conta nemmeno che quel signore avesse ragione o torto.
Perché secondo me lui voleva dire una cosa molto semplice, che però è anche una cosa tanto difficile: “Fa’ la cosa giusta” (Do the right thing, dai, questo te lo ricordi, era un gran film). Ecco, fa’ la cosa giusta. Sembra facile, vero? E invece.
Invece, tanto spesso la cosa facile è adeguarsi, è dire sì perché lo dicono in tanti – e se lo dicono in tanti un motivo ci sarà, no? Mica possono essere tutti scemi, tutti disonesti, tutti ignoranti. E invece.
Invece funziona così, che finisce che tu giustifichi la tua pigrizia, la tua ignavia, il tuo girar la testa dall’altra parte perché lo fanno gli altri. E’ la banalità del male, una cosa senza grandezza se non quella dei numeri.
Però c’è anche la banalità del bene. Perché il bene mica si nasconde. Le cose giuste mica si nascondono: basta saperle vedere, basta voler guardare. Sono semplici, le cose giuste. Banali. Ma a volte costano più fatica. La fatica di dire no quando tanti dicono sì, o magari non dicono nulla e si adeguano e basta. La fatica di dirsi no. Ché la prima resistenza, sai, io credo che uno la faccia guardandosi allo specchio, la prima battaglia la combatte contro se stesso, contro la faccia scura della sua luna.
Resistere, resistere, resistere – e una volta che hai fatto quello tutto il resto viene da sè, e il bene – la cosa giusta – diventa persino banale tanto è naturale, perché è l’unica cosa da fare. E insomma, se hai voglia mettimi una mano sulla spalla e quando me lo dimentico ricordami quel titolo: do the right thing, fa’ la cosa giusta. Poi starà a me.
[Questo è uno dei due pezzi che sono finiti in questa cosa bella di cui si parlava qualche giorno fa. Ed è quello che la Paolina ha letto ieri sera, al Mattatoio di Carpi – un’altra cosa bella, la lettura e la serata tutta]
23/04/2010
Ogni tanto c’è gente che si mette di impegno a ricordarci perché la rete non è un posto più brutto della strada. Il Many è uno di questi, e ha fatto una cosa bella assai: questa. Andate, scaricate, leggete – e se domani passate a Carpi fermatevi ad ascoltare.
06/04/2010
Non ti piacerà, dice, è roba da femmine. No, guarda, non è mica quello. Prendi questo like, per dire. Scrive un maschio, glielo dà un maschio. Mica è quello, te l’ho detto. E’ che duecento righe di immagini ricercate sono un po’ troppe. E siccome alla fine qui siam tutti degli impressionisti de noantri, almeno un po’ di sintesi.
30/03/2010
Io non ho niente contro i Tumblr. Né contro chi li usa: ché ne conosco un po’, e in genere sono brava gente, né più né meno del sottoscritto e di chi un Tumblr non ce l’ha – e nemmeno gli interessa averlo. Mi incuriosisce dargli una scorsa di tanto in tanto – lo faccio perchè capita che qualcuno trovi in questo blog frasi da citare e allora vado a vedere come stanno in un’altra casa le parole nate e cresciute qui – e ogni volta ho come l’impressione di trovarmi di fronte a una specie di strumento di autoaiuto, come un bignami di altrui saggezze alle quali attingere o di altrui stupidità dalle quali stare alla larga, e ogni volta mi chiedo se poi questa metodica raccolta di frasi ispirate, di foto significative, di disegni arguti aiuti veramente il bibliotecario, se questo si ricorderà di questo o quel concetto facendone tesoro, o se alla fine il tutto si riduce a una raccolta di foglietti dei Baci Perugina, belli inutili e accartocciati in una tasca del cappotto, o impilati in un cassetto che non viene mai aperto.
22/03/2010
“da oggi, qua diventa personal. no lavoro, no marketing. Per le altre cose c’è il blog, twitter e friendfeed. Qualcuno verrà unfriended, non prendetela male, niente di personale, è che siete troppi per essere amici.”
Gianluca Diegoli, su FaceBook
15/03/2010
Questo blog ha bisogno di una pausa, e se la prende. Quanto lunga, non so. Magari solo fino a domani, più probabilmente qualche giorno, per prendere fiato – che a volte uno non se ne rende conto ma sta viaggiando in apnea, e ogni tanto deve provare a tornare a galla, deve provare a prendere ossigeno.
28/02/2010
La cosa fantastica dei social network è l’immane quantità di conversazioni private che ospitano.
|
|
|