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27/02/2010
La vita è strana, davvero. Perché capita che le strade di persone che non si sono mai incontrate fisicamente finiscano per dividersi – o almeno per allontanarsi – quando queste decidono di seguire social network diversi. Reti diverse, relazioni diverse. Vite diverse, alla fine.
14/02/2010
Oggi questo blog compie sette anni. Traccheggia e naviga a vista come il suo titolare, e come forse un po’ tutti – o certamente molti. Sta in piedi guardandosi fin troppo spesso l’ombelico, cercando di non sbragare, con onorevole dignità, a volte riuscendoci e a volte no. E’ che siamo quasi tutti qui per parlare di noi, e in fondo è giusto così – si prova a raccontare la propria storia come se fosse, almeno per un pezzetto, la storia di tanti, lasciando i massimi sistemi a chi fa mostra di pensare che non esistano.
06/02/2010
Lapiccolacuoca, su FF: “mi dovrei rimettere sotto e scrivere sul blog dippiu’. mi sento come avessi abbandonato un’amata pianta per un viaggio, breve eh. e me la ritrovo rinsecchita con un solo germoglio. son cose che proprio non faccio. far morire le piante intendo.“
02/01/2010
Ho trovato questa frase su un libro che sto leggendo, mi dice, senti che roba, ed è davvero una gran frase, una di quelle che solo gli scrittori bravi sanno mettere giù, una di quelle che è bello ricordarsi, non tanto per fare bella figura in società ma proprio per se stessi. Allora mi rendo conto che io questa cosa – appuntarmi le cose dei libri, prenderne nota – non l’ho mai fatta se non quando studiavo, ma vai a capire perché è una cosa che non mi viene con la narrativa, anche se ogni tanto mi cade l’occhio su qualcosa che è bello per davvero e mi dico che dovrei copiarla su una Moleskine, o segnarmela nella memoria del BlackBerry o farne un documento da lasciare su Dropbox, insomma dovrei fare qualcosa per non perderla, per averla tutta lì parola dopo parola, perché “le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste”. E invece niente, sarà che sono pigro, sarà che le cose vanno come devono andare, fatto sta che dei libri mi rimangono le trame e i personaggi, ma non le frasi, i mattoni che compongono il muro, mi ricordo a memoria quella che ho citato prima, del vecchio e gigantesco Ray Carver, una di Stephen King e una, ma non proprio alla lettera, di Leopardi, che è come passare al setaccio tutto quel che si legge e perdere tante cose, così ogni tanto mi faccio un giro da chi il setaccio ce l’ha a maglie strettissime, e segna, appunta, memorizza – in giro per la rete ce n’è, il mio amico Zu col suo CuT’n’PaStE e la mia amica Paolina e ce ne saranno anche tanti altri e insomma se siete come me usate loro, che la memoria è una cosa preziosa e qualcuno che la conservi ci vuole e va tenuto da conto.
CuT’n’PaStE, laPaolina
29/12/2009
Siccome il titolare qui si fregia del titolo di vintage ma è pur sempre attento alle pressanti richieste del mercato (ehm), ha accolto con gratitudine ed entusiasmo la proposta degli amici di Simplicissimus, e in particolare di Marco, il quale si è offerto di convertire il PslA in formato e-book reader. Così da oggi trovate il pregevole manufatto non solo nella tradizionale versione pdf, ma anche in quella epub e in quella mobi. A questo punto un Kindle dovrei comprarmelo anch’io, me ne rendo conto, ma se Amazon non me lo regala mi sa che aspetto il Babbo Natale 2010 (quando si dice essere dei late adopter).
[Un grazie, come sempre, al silente e prezioso supporto dell’Omino della Provincia Granda, al secolo Sba – che se qui la baracca sta in piedi è tutto merito suo]
18/12/2009
Un veloce ma sentito ringraziamento a tutti coloro che hanno parlato del Post sotto l’Albero, release 2009. Fra tutti cito l’articolo di Achille su Apogeonline, che riassume come meglio io non avrei potuto fare la storia e soprattutto lo spirito di questa cosina piccola che è il PslA.
Apogeonline
13/12/2009
Ogni tanto penso che diventiamo adulti solo per per poter giocare seriamente, perché c’è un gusto tutto particolare nel fare i cialtroni in giacca e cravatta. E’ per quello che ogni anno inizia un minuetto fatto di inviti, di solleciti, di sms, di autocandidature, di c’è-ancora-posto e quando-è-la-scadenza-per-la-consegna, di suppliche e lamentele e tutto il resto: per mettere insieme questa cosa che – forse – avrete il coraggio e la tempra di leggere fino in fondo. E’ un lavoraccio, che però vale la pena fare, vale la pena mettere in piedi un teatrino che coinvolge decine di trenta-quaranta-cinquantenni se in una sera di dicembre arriva una mail che dice “grazie per avermi fatto scrivere dopo dieci anni”. Il PslA è un regalo di regali, si fa il proprio e se ne ricevono molti altri in cambio: quando lo si riceve si sorride, si fa un inchino, gli si dà un’occhiata: a volte lo si legge, a volte no, a volte lo si ricicla e lo si fa avere al vicino noioso o all’amica con la quale si vuole fare bella figura. Il PslA ha una sola, vera, grande dote: è gratuito; e in tempi di crisi, buttala via.
E’ passato un altro anno, ma i motivi per cui voglio bene al Post sotto l’Albero non sono cambiati. Così li riprendo dal post dell’anno scorso, aggiungendo qualcosa:
Mi piace perché è una piccola tradizione; quando è nato un blog lo avevamo in cento, adesso siamo ancora in cento perché tutti gli altri sono passati ai socialcosi. Siamo quelli che scrivono più di 140 caratteri, e sembriamo una setta di massoni ottocenteschi: insomma, siamo diventati vintage in sei anni.
Mi piace perché è una cosa seria fatta per gioco.
Mi piace perché è un gioco fatto seriamente.
Mi piace per quello che gli sta dietro, gli inviti che partono quando in Sicilia si fa ancora il bagno in mare, le prese in giro, i solleciti accorati, le contrattazioni sulle date di consegna, i “c’è ancora posto?” e i “ma non c’era un’altra settimana di tempo?”, le mail di accompagnamento che dovrebbero essere pubblicate per quanto sono belle ma in fondo è meglio che restino così, private.
Mi piace perché è cocciutamente artigianale, con la sua copertina a base di clip art di Word, i suoi refusi, la sua impaginazione arbitraria e incerta.
Mi piace perché non è una cosa mia, ma di tanti, e questo mi fa ricordare quando qui scrivevamo non per metterci in mostra cercando un lavoro o una vetrina o un quarto d’ora di celebrità , ma per l’urgenza e il divertimento e il piacere di farlo – e mi piace illudermi che almeno una volta all’anno questo sia ancora possibile.
Mi piace perché c’è gente, e non poca, che racconta un pezzo di sè. E lo fa senza recitare, senza romanzare, cercando con impegno le parole giuste. Trovandole.
Mi piace perché non ha pretese.
Anche l’anno scorso ho scritto “non so davvero se ce ne sarà un altro”. Lo riscrivo, e non per vezzo, ma perché ogni anno cresce la sensazione del tirare la corda che fa da confine sottile tra divertimento cialtrone e molestia ridicola. Per quest’anno è andata, e all’anno prossimo ci penseremo a tempo debito. Intanto, grazie a tutti.
[Il PslA 2009 lo trovate qui]
05/10/2009
Anche se è una tentazione ogni giorno forte come il giorno precedente, è da tanto tempo che ho rinunciato a ritenere il microcosmo che in qualche modo frequento rappresentativo dell’universo mondo; per questo non mi sono stupito quando l’altra sera questo pezzo di Ilenia è stato premiato come il post dell’anno in occasione della BlogFest. Una gran parte del mio microcosmo, e io non facevo differenza, sperava che quella manciata di righe venisse premiata; non perché un premio – quel premio – fosse una Superiore Attestazione, un qualcosa dal valore assoluto, la Prova Provata della Qualità e della Bravura: siamo tutti abbastanza adulti e cinici per non credere in queste sciocchezze. Piuttosto perché a volte capita che qualcuno scriva per te, e usi le sue parole per esprimere qualcosa che hai dentro, che ti senti, che sentono tanti – forse tutti – anche se non è bello ammetterlo (chissà poi perché, quasi fosse una colpa). Raccontare di certe cose significa avventurarsi in un terreno minato: la melassa, la pornografia dei sentimenti, l’esibizionismo ammantato di bontà – bum, bum, bum. C’è chi pensa che non vi sia salvezza, che non si possa e non si debba raccontare di morte, di amore, di sentimenti, di genitori e di figli, di dolore, di malattia, c’è chi pensa che tutto questo sia talmente privato da essere irrimediabilmente sporcato se diventa pubblico. Io non credo che sia così, io credo a quelle poche parole di Garcìa Marquez – “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla” – e sono così ingenuo da credere anche alla capacità purificatrice del talento, ammesso che vi sia qualcosa di impuro da mondare dai peccati di superbia e di mancanza di pudore. Potrei fare mille esempi, Levi, Eggers, Roth. Immagino che apparirebbe stupido e sproporzionato usarli per parlare di un post in un blog, e allora non lo farò, dirò solo che sono stato contento, per Ilenia ma non solo, e che ogni tanto toccare quel che di umano abbiamo tutti fa solo bene, anche se mostrarlo non è cool.
18/09/2009
Credo che a stare tanto “in rete” si prendano alcune cattive abitudini. Ci si abitua, ad esempio, ad avere notizia di qualunque cosa in tempo reale, come si suol dire: e non parlo solo dei fatti che succedono alle persone che poi immediatamente le riversano su un qualsiasi social network – il fortissimo temporale in Liguria, la scossa di terremoto in Abruzzo, l’eliambulanza che volteggia su Mestre -, quelli insomma che fanno parlare di citizen journalism. A stare in rete ci si abitua anche alla comunicazione immediata di ciò che chiunque altro può avere sotto gli occhi, di ciò che in moltissimi hanno sotto gli occhi nello stesso identico momento, e che quindi difficilmente può essere definito come notizia: il gol di Inzaghi, la proclamazione di Miss Italia, cose così. Se siete su FriendFeed ci potete scommettere i dieci Euro che avete in tasca: alle 21.04 Diego insacca con un preciso destro dai sedici metri, alle 21.04.01 è una raffica di “Goooooooolllllllll!” in una poderosa sagra del già visto e del “ma non mi dire”.
Ieri nessuna – ripeto: nessuna – delle 113 persone delle quali mi arrivano automaticamente gli aggiornamenti sulla home page di FriendFeed ha dato “notizia” della morte dei militari italiani a Kabul, magari semplicemente rilanciando un flash di Repubblica.it, prima di un paio d’ore dall’avvenimento. Nel frattempo, durante la mattina si erano susseguiti thread da decine di interventi sulla depilazione femminile, su una job search di Wired, sulla necessità di un idraulico a Roma, come se nulla fosse successo. Mi è venuto da fare un po’ di ironia al riguardo e ho citato la teoria di un’amica, la quale sostiene che su blog e social network una persona dotata di raziocinio scrive solo delle cose delle quali non gli interessa nulla, il che dimostrava quanto il tragico fatto fosse importante per tutti. Alcuni mi hanno risposto che loro sapevano, ma che non avevano scritto nulla perché quello era il momento del dolore, altri mi hanno detto che il silenzio dipendeva dal non aver voglia di accendere il fuoco delle polemiche “cosa ci stiamo a fare in Afghanistan, gli americani cattivi, l’invasione” – tutti confondendo, secondo me, l’esprimere un giudizio di valore con il condividere una notizia.
Non è, quella che qui sto raccontando, una cosa molto importante, me ne rendo conto. Ne parlo perché sui social network ci stiamo in tanti, e perché forse non ho di meglio di cui scrivere: so benissimo di frequentare un microcosmo, che – in quanto tale – non è rappresentativo che di se stesso; è solo che mi piacerebbe togliermi il cattivo retropensiero che tanti provano fastidio a parlare della gente in divisa quando questa non fa chiaramente la figura del cattivo. Magari è tutto molto semplice, magari quello di ieri è stato solo un caso, magari sono io che sono inutilmente e immotivatamente sospettoso – mi piacerebbe davvero che fosse così.
29/08/2009
Conosco Gaspar da tanto tempo, sei anni non sono pochi né nella vita del Paese Reale né in quella sul web. E’ una delle pochissime persone che conosco capaci di ammettere un errore senza darti l’impressione che in realtà continuano a credere di essere nel giusto. Lo ha fatto anche poco fa, in una piccola discussione con il sottoscritto che trovate nei commenti a questo suo post, nella quale lui ha tante ragioni quante ne ho io. Ecco, a me fa piacere ringraziarlo per questo piccolo gesto, e sperare di essere un giorno capace di farlo anch’io con la stessa onestà.
Gaspar Torriero
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