You are here
Non ho mai fatto shopping, viaggiando. Non sono mai stato uno di quelli che parte con una valigia e torna con due: non ho esigenze particolari che possano essere esaudite solo a San Francisco o a Londra, mi annoio ad andare per negozi, l’ho sempre trovata una perdita di tempo (ma non ho nulla contro chi lo fa: qualcuno che faccia girare l’economia mondiale ci vuole pure). E però porto sempre a casa qualcosa: un magnete – se è la prima volta che vado in quel posto – e una cartina della città. Ne ho un armadio pieno, alcune di posti improbabili (credo di averne una di Pesaro, presa l’anno scorso quando mi sono fermato ad ascoltare Massimo D’Alema). Sono le cartine che ti danno in albergo, sulle quali le persone della reception segnano con un circolino a penna la posizione dell’hotel e poi ti mostrano dov’è il centro – we are here sir, turn right and then right again – quelle che stacchi dal centro delle guide stile Lonely Planet, quelle che hanno i bordi istoriati di pubblicità di ristoranti e musei delle cere e locali di lap dance; ho cartine di trasporti pubblici di ogni dove, la metro di New York, quella di Parigi, e Londra e Madrid e quella delle linee che collegano l’aeroporto di Monaco alla città e al resto della rete. Sono quasi tutte mezze accartocciate perché giro tenendole nella tasca dei jeans, alcune sono un po’ grossolane, di quelle con i monumenti messi in evidenza ma con le vie disegnate un tanto al chilo che ti tocca aprirle e girarle e ribaltarle perché non capisci dove sei, e sono tutte piegate male perché io sono di quelli che si arrende di fronte ai bugiardini, non sono capace di ripiegare seguendo le pieghe originali, invento le mie, e le mie ovviamente non vanno mai bene. Mi piace avere una piccola mappa con me, anche se sto in un posto che ormai conosco bene – di Roma ne ho cinque o sei -, mi dà sicurezza quando decido, come faccio sempre, di prendere e cambiare strada, se lì c’è una sinagoga magari c’è anche il quartiere ebraico, andiamo a vedere. E mi piace conservarle, le mappe. Sono le uniche cose che tengo dei viaggi che faccio, le tengo perché ci tengo, ogni tanto riordino quell’armadio e me le riguardo, qui la fabbrica della Samuel Adams, qui il ponte sul Reno, qui gli uffici di Correos de Espana, qui il monte dei pegni ed è come guardare un album di fotografie dove i ricordi non sono immagini ma nomi di vie e piazze e stazioni della metro – you are here.
PS – C’è un blog, lo scrive un amico, uno tanto bravo quanto pigro – e infatti lo scrive solo perché lo obbligano. Si chiama Viaggi da fermo, e tutti i racconti partono “da una notizia, da una fotografia, da una mappa online”. E’ diventato il mio blog preferito: e come potrebbe essere altrimenti?