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05/10/2013
Ho passato tre giorni a casa, questa settimana. Di quelli con la febbriciattola strisciante (il che significa, essendo un maschio, che avevo 35.8°; ma questa è un’altra storia) e tosse e ossa rotte e quelle cose da malattia di stagione, tutte in quantità sufficiente per stroncarmi ma non abbastanza da farmi mettere a letto. Così ho passato tre giorni sul divano o alla scrivania dello studio, con un certificato medico che mi permetteva di lavorare senza dover rispondere immediatamente alle mail (e pure questa è un’altra storia) e la compagnia delle reti all news, e alla fine mi sono chiesto perché mai la gente spenda soldi in sostanze stupefacenti quando basta disporre di un paio d’ore da dedicare a, chessò, SkyTg24 – e non parliamo di una giornata intera. Perché c’è qualcosa di lisergico in quella visione: il passaggio incessante della stringa di testo – identica a se stessa per intere mezz’ore – che riassume le notizie con linguaggio da telegramma, la colonna di destra con le fotografie di dichiaranti di professione, la struttura inscalfibile titoli-pastone-rassegna stampa fino a orari nei quali i giornali di carta sono usati per qualsiasi scopo che sia diverso dalla lettura; persino in un giorno che a dar retta ai socialcosisti è stato denso di avvenimenti spettacolari neanche fosse un film di Emmerich la cosa affascinante era la calda e familiare prevedibilità di tutto quello che accadeva, come negli esercizi obbligatori di un programma di ginnastica o di pattinaggio artistico – prima un doppio axel poi il triplo toe loop, adesso Cicchitto poi un peone del PD e a seguire il meno occupato a twittare tra quelli del M5S. Credo di aver sentito la stessa dichiarazione di Formigoni una quindicina di volte. Credo, perché in effetti ne ho perso il conto. Sono arrivato alla fine della giornata che mi sentivo come quando hai ripetuto una parola per cento volte, fino a farle perdere il senso e a ridurla a un puro ammasso di suoni inarticolati. E’ stato allora che mi sono ricordato di un pezzo di David Foster Wallace, un pezzo de “Il re pallido”, che è fondamentalmente un libro sulla noia, su come ci si vive dentro, come ci si acconcia non a subirla ma a viverci insieme, l’ho ripreso e me ne sono andato a letto con la sua stessa domanda, che – me ne rendo conto – per certi versi sembra fatta da uno che crede alle scie chimiche e che però mi pare dica molto di cosa siamo diventati, e cosa siamo.
Per me, almeno a posteriori, la domanda veramente interessante è perché la noia si dimostri un impedimento così efficace all’attenzione. Perché ci sottraiamo alla noia. Forse perché la noia è intrinsecamente dolorosa; forse da qui traggono origine espressioni come «noia mortale» o «noia straziante». Ma potrebbe non essere tutto. Forse la noia è associata al dolore psichico perché una cosa noiosa o nebulosa non fornisce abbastanza stimoli capaci di distrarre da un altro tipo di dolore più profondo che è sempre lì, sia pure in secondo piano, e la maggior parte di noi impiega quasi tutto il suo tempo e le sue energie per distrarsi e non sentirlo, o almeno non sentirlo direttamente o con la piena attenzione. Devo ammettere che il tutto è un po’ confusionario e che è difficile parlarne in astratto… ma di sicuro dev’esserci qualcosa dietro non solo la musichetta nei posti noiosi e monotoni ma addirittura la Tv nelle sale d’attesa, alle casse dei supermercati, ai gate degli aeroporti, tra i sedili posteriori dei Suv. Walkman, iPod, Blackberry, cellulari che si attaccano alla testa. Questo terrore del silenzio senza poter fare niente che distragga. Non riesco a pensare che esista qualcuno davvero convinto che dietro la cosiddetta «società dell’informazione» di oggi ci sia solo l’informazione. Tutti sanno che c’è sotto qualcos’altro.
30/09/2013
Avendo – io e un sacco di altra gente: inclusi i professori dell’altro ieri, quelli che si affrettano a, e quelli che l’altare l’hanno già cambiato a tempo debito – alle spalle non meno di vent’anni di non averci capito nulla, poco fa ho pensato che esiste qualche fondata possibilità che Letta e il suo governo non siano poi così male.
21/09/2013
Per anni Massimo D’Alema ha ricordato – e con ragione – che questo non è un paese di sinistra. Forse per togliersi il pensiero di dimostrare il contrario, è da un po’ che gli organi assembleari del PD* stanno facendo del loro meglio per far cambiare posizione anche all’ultimo quarto di pervicaci residui resistenti.
* Quelli che stanno a sinistra del PD, mostrando la loro superiorità intellettuale, si sono dissolti per tempo. Mission accomplished.
28/05/2013
Poco fa ho letto il twit di un ministro che chiede ai cittadini di segnalargli le priorità da affrontare nei prossimi mesi del suo lavoro, e la cosa ha fatto il paio con l’aver ascoltato questa mattina un parlamentare pentastellato affermare con la sicurezza-che-sai-io-sono-giovane-e-me-lo-posso-permettere “sono certo che tra pochi anni guarderemo alla democrazia rappresentativa come oggi lo facciamo con la monarchia” (senza l’apparente minima consapevolezza del vivere in un paese che ha ucciso la Democrazia Cristiana in modo tale da poter essere democristiano senza sentirsi in colpa) – due ulteriori piccole e non richieste dimostrazioni di come il suicidio della classe dirigente abbia fattivamente contribuito all’0micidio del suo concetto, una di quelle situazioni nelle quali verrebbe da dire chi è causa del suo male eccetera, se non fosse che il male ricade su di tutti, anche su quelli che non se ne accorgono.
08/05/2013
Se il diavolo sta nei dettagli, allora lo smottamento generale lo si vede da piccoli segni. Come questo riunirsi del governo volendo e dovendo specificare che “ognuno pagherà per sé”. Se la mia azienda organizza un team building meeting come quello messo in piedi da Letta, mi paga viaggio, albergo e ristorante: non chiede a me di pagare. Se ho nello stipendio o comunque nelle mie disponibilità di spesa aziendali una quota a copertura di attività di questo tipo, attingo a quella: ed è sempre l’azienda a pagare. E non è un trattamento di favore, un fringe benefit: nessuno di noi lo considererebbe mai tale perché non si parla di una gita di amici che vogliono farsi un weekend insieme. Invece siamo arrivati a questo, al maniavantismo costante per “dare un segno”, per allinearsi ai tempi; o meglio, per piegarsi ai tempi, anche quando questo è sbagliato e indecoroso. Si potrebbe dire “contenti loro”, ma il fatto è che in democrazia “loro” sono anche “noi”, e l’umiliazione del governo è anche nostra, non importa se ce ne accorgiamo o meno.
02/05/2013
Qualche giorno fa mi è arrivata una busta a casa. Del contenuto si parla qui, su Left Wing.
25/04/2013
Giorgio!
Ah, oh, Clio, ciao…
Cosa stai facendo?!
Niente, Clio, niente, davvero.
Guarda che ti ho visto.
Sì.
Stavi guardando quella robaccia.
Clio, è per lavoro.
Lavoro?! Guardare Letta che parla con quei due lo chiami lavoro? Dio mio. Sei un pervertito.
Clio! Sei impazzita?
No, guarda, io non ne posso più. Dovremmo essere a Capri seduti a un tavolino a bere un caffè, e invece siamo qui, io in cucina e tu a guardare i politici dal buco della serratura, neanche fossi un ragazzino.
…
Io esco e vado al cinema, sono stufa. Tu resta pure qui a sbavare sulla Lombardi.
…
Neanche fosse la Boldrini, che almeno potrei capire. Che schifo.
Clio, per piacere.
Ciao Giorgio, ci vediamo stasera. Non aspettarmi alzato, farò tardi.
23/04/2013
Giorgio.
Dimmi.
“Dimmi” un corno. Quante volte ne dobbiamo parlare ancora?
Clio, per cortesia. Davvero, non è il momento. Noi qui ne avremo ancora per un po’, non moltissimo ma nemmeno poco. Fatti portare la cena, poi mettiti sul divano e guardati un po’ di televisione. Appena abbiamo finito arrivo.
Non è educativo.
Cosa, tesoro?
Non fare il finto tonto. Lo sai benissimo. Non è educativo che tu ti metta a fare i compiti dei ragazzi.
Clio, ascolta. Abbiamo perso il conto di quante volte sono stati bocciati. Mi sono stancato. Mi ci metto io, faccio quasi tutto poi gli metto la testa davanti al foglio, gli faccio seguire col dito per filo e per segno dalla prima riga e poi gli faccio completare gli esercizi.
Ma così non impareranno mai.
Perché, secondo te sono capaci di imparare qualcosa?
Non è giusto.
Sarà, e sarà pure colpa nostra e di come li abbiamo tirati su, ma questi senza aiuto non passano nemmeno gli esami della Scuola Radio Elettra.
Esiste ancora?
La Scuola Radio Elettra? Credo di sì, dovrei chiederlo a Bossi.
Io non so cosa ti è preso, davvero.
Clio, semplicemente mi sono rotto i coglioni. Succede.
Non ti azzardare a farti sentire parlare così. Vergognati.
Io mi devo vergognare? Io? Sei sicura?
Questa storia deve finire, Giorgio.
Finirà presto, Clio. Spero. Adesso vai e fa’ quel che ti ho detto. Ci vediamo dopo.
Cerca di non far tardi.
Va bene.
Ciao.
Ciao.
22/04/2013
Giorgio.
…
Giorgio.
Clio, è presto. Non sono ancora le sette, torna a dormire.
Alla nostra età ci si sveglia presto. Dove stai andando?
Come se non lo sapessi.
Giorgio, tu non ti rendi conto.
Clio, mi rendo conto benissimo. Ma quando hai famiglia funziona così.
Così come, vorrei sapere.
Così, e basta.
Giorgio, guardati allo specchio. Hai quasi novant’anni, e ce li ho pure io. I nostri amici, i nostri compagni di scuola sono morti tutti.
Clio, lo so. Pensi che non mi vedo allo specchio?
E quindi?
Clio, torna a dormire. Devo portare i ragazzi a scuola.
Ma sono grandi, dovrebbero saperlo fare da soli.
Clio.
Giorgio.
Torna a dormire, ci vediamo stasera.
20/04/2013
C’è una cosa che capita almeno una volta nella vita a chiunque tifa una squadra: vederla andare male, così male che a un certo punto inizi a irriderla e le auguri che vada peggio ancora, dopo la quinta sconfitta invochi la sesta, e dopo la sesta speri nella settima e poi nella retrocessione, nella caduta rovinosa e dolorosa. Lo sai che l’anno successivo soffrirai come una bestia, molto più di quanto tu non lo stia facendo ora, ma non importa: qui e ora deve succedere il peggio, e ti diverti persino a guardare il crollo: è un piacere perverso, ma pur sempre un piacere. Non credo di essere il solo tra gli elettori del PD ad averlo provato, questo piacere, durante gli ultimi due mesi e in particolare durante gli ultimi due giorni (ogni piacere ha un suo acme, no?): la fantastica serie di sciocchezze che hanno portato prima a perdere elezioni già vinte e poi a cercare con una disperazione via via più confusa il modo per fare un proprio governo (o meglio: un governo guidato da un proprio esponente, che in effetti è cosa parecchio diversa) assomigliando terribilmente al bambino di cinque anni che prova a giocare ai quattro cantoni con dei dodicenni; la spettacolare inadeguatezza di tutti i suoi rappresentanti, nessuno escluso, giovani, vecchi, bersaniani dalemiani lettiani renziani veltroniani prodiani tutti, tutti, tutti dotati di una rilucente incapacità di dire qualcosa che non fosse l’esausta ripetizione di formule imparate a memoria, dobbiamo impostare un ragionamento, la situazione richiede un’assunzione di responsabilità, trovo singolare che, mi adopererò con tutte le mie forze per, non possiamo spacciare per buone le ricette di vent’anni fa, tutti mancanti di quel minimo sindacale di senso della rappresentazione che gli facesse capire che c’è ancora tanta gente – quorum ego, cazzo – disposta a credere a una loro balla purché detta con sicurezza e proprietà, tradiscimi ma fallo con eleganza, per una sintassi superiore potrei anche perdonarti la tua impossibilità di essere leader o il tuo esserlo troppo. Poi arriva il momento in cui il piacere svanisce, ti siedi sul divano tenendo in sottofondo il borbottio di Mentana che ormai fa parte del tuo arredo di imperfezioni casalinghe, come un rubinetto che sgocciola per guasto e pigrizia, ed è quello il momento nel quale vieni assalito dal timore – il timore che tutto questo sia destinato a non servire perché una commissione disciplinare d’appello tanto benevola quanto atterrita cancelli la retrocessione, provveda a un ripescaggio dell’ultimo minuto e riporti la squadra là dove sai che non deve, che non merita di stare, il timore che qualcuno, con una voce falsa come una moneta fuori corso, imposti un ragionamento, richieda un’assunzione di responsabilità, trovi singolare che.
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