Le parole contano
Nineteen terrorists. Four hijacked aircraft. Nearly 3,000 victims. It all happened in little more than an hour, between a quarter to nine and 10 in the morning on Sept. 11, 2001. But the war that started that day was destined to last years, many years.
At first they called it the Global War on Terrorism. In time, historians rebranded it the Great War for Democracy.
Leggendo queste parole di Niall Ferguson su Time, pensavo – se mai ce ne fosse stato bisogno – che noi del marketing siamo davvero dei fenomeni: basta cambiare due o tre parole, ed ecco un concetto – e un brand – nuovo di zecca.
La Guerra Globale al Terrorismo diventa la Grande Guerra per la Democrazia. Suona molto meglio, in effetti. Perchè è piena di buone intenzioni, è intrinsecamente positiva. Il Terrorismo è una cosa brutta, sporca e cattiva. La Democrazia è bella, buona e pulita. Chi non vorrebbe vivere in democrazia? Nessuno che abbia la testa sulle spalle, naturalmente.
Ma.
Pensiamoci un attimo.
Prima di tutto: abbiamo mai davvero avuto timore per la nostra democrazia? Io credo di no. Penso che abbiamo avuto paura di prendere un aereo, di scendere nel tunnel della metropolitana, di entrare in un grattacielo o comunque in un luogo molto affollato e in qualche modo simbolico. Ma non abbiamo seriamente mai pensato che Osama Bin Laden avrebbe conquistato in breve tempo il mondo occidentale, riducendoci in schiavitù e assoggettandoci alla Sharia. Non abbiamo lottato per la democrazia, abbiamo lottato per la sicurezza. Il che non è una cosa gretta e meschina, sia chiaro.
E, soprattutto: difendere la propria democrazia e addirittura pretendere di esportarla mettendosi insieme a signori che della democrazia non sanno cosa farsene è piuttosto bizzarro. George Bush è in guerra per gli stessi motivi di Parvez Musharraf, di Vladimir Putin o del Re di Arabia? Io non lo credo. Anzi: sono sicuro di no.
Però, the Great War for Democracy suona tanto bene, questo bisogna ammetterlo.
Time.com