Mettiamo le mani avanti: io, “Tre metri sopra il cielo” non l’ho letto (1) e credo che non lo leggerò, avendo ancora in arretrato Dostoevskij e un centinaio di altri classici – almeno non entro i prossimi tre lustri.
A meno che non decida di cercare di capire come può un libro ispirato ad un soggetto di apparente inquietante clamorosa pochezza (2) diventare un tale best-seller, che allora potrei, da buon uomo di marketing, giustificarmi dicendo che bisogna leggere ciò che legge il mondo, per capire il mondo stesso – il passo successivo, naturalmente, sarebbe dedicarsi alla visione di “Wild West”, per completare l’opera.
Wikipedia, Feltrinelli, Repubblica.it
(1) Peraltro, anche il presunto protagonista del libro non ha letto il libro medesimo, il che mi fa sentire – se mai ne avessi avuto bisogno – definitivamente in pace con la coscienza.
(2) Per capirci, ecco alcune perle: “In piazza Jacini mica giocavano a biliardino, lì abbiamo fatto la guerra, abbiamo combattuto il nostro Vietnam e la gente ci ha lasciato la pelle”. Oppure “La generazione nata tra il 1960 e 1965 è stata una generazione maledetta. Il nostro gruppo è stato come un bel fiore che nel tempo ha perso i suoi petali, uno ad uno. In tanti sono morti, altri sono latitanti, ma tutto è stato fatto perché avevamo un credo: noi abbiamo dato la vita per i nostri ideali”. E il gran finale: “io non ho studiato e le cose che ho imparato le ho apprese dalla strada, dalla vita”.