Greetings from Ljubljana ’09 – Come in spiaggia
Ha fatto caldo, molto caldo per tutto il giorno. Ma arriva la sera, e con quella anche un filo di vento fresco. Sarà quello che porta in strada migliaia di persone: mai vista così tanta gente in giro per Ljubljana – e neanche a Milano, se dovessi dire la verità. Pare di stare a Madrid, o a Barcellona, ed è una sensazione strana, come quella che danno la neve sul Sahara, o il sole a Loch Ness. Non ho voglia di andare a mangiare, così mi perdo un po’ in giro dalle parti del Parlamento e dell’Accademia di musica; decido di non salire al castello come ho fatto le altre volte, ma di restare in mezzo alla gente sulle rive del Ljubljanski; mi fermo su uno dei ponti che attraversano il fiume, ad ascoltare una brass band che suona dei pezzi che sembrano scritti da Bregovic e arrangiati da Henry Mancini e per un po’ sono tutti allegri, fino a quando attaccano un pezzo lento che si capisce essere diverso da tutti gli altri, dev’essere una canzone tradizionale o qualcosa di simile perchè i due signori che mi trovo a fianco appoggiati alla balaustra del ponte ad un certo punto iniziano a canticchiare seguendo la melodia e sembra che cantino qualcosa che viene dalla loro infanzia. Ad uno degli estremi del ponte c’è un uomo con un microscopico banchetto di frutta e verdura, e mentre tutti seguono la musica e battono le mani e vanno a buttare spiccioli nella custodia del sax tenore lui rimane assorto a guardare non so cosa, un sedano forse, e non si potrebbe immaginare un contrasto più forte. Nessuno si muove fino a quando la band non ha finito, nemmeno il bambino che ha avuto paura di rompere il semicerchio per andare a buttare le sue tre monete insieme alle altre che sono l’ingaggio della serata di questi otto ragazzi. Cammino in mezzo alle decine di tavolini che riempiono le due rive, mi fermo a mangiare un sandwich, mi siedo in un altro pub a fianco di un signore che mi spiega che lui e i suoi colleghi si ritrovano ogni giovedì che Dio manda in terra per farsi un paio di birre, e lo fanno dal 1972, e me lo dice con un certo orgoglio che in quel momento mi sembra giustificato. Ascolto un trio blues fare una versione discreta ma troppo corta di “Cocaine”, compro un gelato, mi fermo in mezzo alla piazza davanti alla cattedrale, leggo “Ave Maria Gratia Plena” e mi viene in mente che a Londra ho visto una Ave Maria Road dalle parti di St. Paul, cerco di capire questa strana sensazione che ho fin dal primo pomeriggio, e forse la sensazione è quella di essere in vacanza – sembra che siamo tutti, io e Riko e Daniel e Borut e Dusko e le altre diecimila persone che in questo momento passeggiano, bevono birra, si baciano, telefonano, comprano un ventaglio, tutti siamo in vacanza. C’è proprio quest’aria, quella che si respira nei posti di mare anche se qui ogni anno butta giù un metro di neve, l’aria sospesa delle cose finite e delle cose non ancora iniziate, come se fosse venerdì sera, come se fosse estate.
May 22nd, 2009 at 14:30
Bello e toccante.