Greetings from Ljubljana ’09 – Riko
Conosco Riko da un paio d’anni. Ci siamo visti quattro volte, e sentiti forse dieci o dodici. Alcune riunioni, tre o quattro pranzi, una sera al Casinò di Portoroz; niente di che, a ben vedere. Non ci definiamo amici, non lo siamo e abbiamo abbastanza pudore per non usare il termine in quell’accezione bieca alla quale ormai abbiamo tutti fatto l’abitudine. Però ci troviamo bene, per motivi che non saprei spiegare; e così Riko, che ha una decina d’anni più di me, una volta mi racconta che i suoi hanno deciso di concepirlo perchè suo padre stava per essere richiamato nell’esercito in vista di una possibile guerra con l’Italia, e oggi mi parla della moglie, del suo tumore, dell’operazione, della chemioterapia. Io rimango un po’ interdetto, a volte mi chiedo cos’ho che la gente mi parla delle sue cose, di cose delle quali io probabilmente non parlerei con loro perchè non ne parlerei con nessuno se non con due o tre persone al mondo, lo ascolto e gli dico in bocca al lupo, ci stringiamo la mano perchè lui deve scappare in ospedale visto che oggi la moglie torna a casa, mi dice “grazie per essere venuto, spero di rivederti presto” e mi sembra che non sia la classica frase fatta che conclude questi incontri di lavoro, “thank you for coming”. Lo guardo uscire dalla porta con il passo veloce e il giubbotto appoggiato nell’incavo del gomito, mi chiedo se e quando lo rivedrò.