(C’è ancora adesso in via Spadari – cit.)
Leggevo oggi che l’Expo di Milano sarà molto più grande e bello di quello di Shanghai, che ci sono 141 nazioni che fanno a botte per avere un padiglione, e che insomma tutto va per il meglio. O andrà, ma ci siamo capiti.
Che dire. Lo spero. Spero che la città dove vivo faccia bella figura. Spero che la faccia senza esserne strangolata e messa ulteriormente sul lastrico. Spero un sacco di cose, e le spero accompagnato da un misto di ansia, disincanto e sostanziale terrore aumentato dal fatto che tutte le strutture principali dell’Expo sta(ra)nno a due passi da casa mia. Due passi in senso praticamente letterale. Il fatto è che noi italiani quando si parla di grandi opere pubbliche abbiamo già una mezza idea di come andrà a finire (e non starò a dire, dopo aver passato quasi tre mesi a Shanghai durante l’ultimo anno e aver visto l’area di Pudong dove sorgevano i padiglioni nazionali e le mille opere costruite in città in vista dell’esposizione del 2010 – musei, sopraelevate, tunnel – che il solo proposito di fare concorrenza ai cinesi ha un che di tragicomico alla Don Chisciotte). Andrà a finire, ad esempio, che se non ci sarà una mezza sollevazione popolare – e probabilmente pure in quel caso – verranno spesi, stando al budget dichiarato a oggi, una novantina di milioni di Euro per creare una “via d’acqua” che collega il sito dell’Expo all’area agricola di Milano Sud. Un progetto partito con uno stanziamento ben più alto, che aveva l’ambizione di ridare a Milano l’equivalente di quei navigli che grazie a svariati colpi di genio sono stati interrati e asfaltati nel secolo scorso. Canali navigabili, esatto. Fa ridere? Non so, forse: forse fa ridere l’ingenuità dell’aver pensato che la cosa fosse possibile in quanto potenzialmente utile, oltre che bella. Poi i soldi sono venuti meno, ma non abbastanza da portare alla cancellazione del progetto: e così da corsi d’acqua artificiali navigabili utilizzabili per turismo e commercio, come avviene in cento altri posti d’Europa, siamo passati a canali larghi otto metri e profondi uno e mezzo che partono da laghi artificiali di incerto futuro, passano dentro terreni ferocemente inquinati e da decenni in attesa di bonifica, tagliano due dei grandi parchi della città eliminando centinaia di alberi diosolosa quanti ettari di verde e arrivano a portare acqua inutile in luoghi che a quel punto non sanno più cosa farsene. Il quartiere è in fermento, ci sono le manifestazioni, le assemblee pubbliche, il Consiglio di Zona non è mai stato tanto seguito e frequentato e interpellato ma si sa, not in my back yard – se andate a chiedere a qualcuno che vive, chessò, in zona Ripamonti se ha mai sentito parlare delle vie d’acqua dell’Expo ricevete in risposta un’espressione bovina accompagnata da un “Uh?”, quindi potete evitare di raccontargli che in una delle cento varianti d’opera discusse in questi mesi c’era pure un errore di calcolo della pendenza dei terreni grazie al quale avremmo assistito al miracolo dell’acqua che risale senza bisogno di pompe e turbine e compressori, hai visto mai che i salmoni arrivino a Milano stanchi e non ce la facciano a raggiungere la meta.
Ieri sera ascoltavo il segretario del PD celebrare la decisione che ha cancellato gli organi elettivi delle province, centosessanta milioni risparmiati diceva, centosessanta milioni che serviranno a ridare credibilità alla politica, a convincere i cittadini che sì, possiamo tornare a fidarci. Poi ho guardato fuori dalla finestra, e ho disegnato con gli occhi il tracciato del canale dei puffi.