Rileggi, maledizione, e poi cestina
Rileggere, tagliare, cambiare parole, andare a bersi un caffè, tornare alla tastiera e premere “canc”.
A volte sarebbe molto meglio. Oggi temo di essere stato inutilmente sarcastico con Benedetto Vecchi, ed offensivo con Roberto Vignoli. Il kolkhoz di Sverdlovsk, e l’altarino dedicato agli anni Settanta, beh, probabilmente avrei potuto risparmiarmeli. Chiedo scusa, sinceramente.
Avrei potuto dire che ciò che davvero non mi piace delle loro argomentazioni (oltre alla nostalgia per un decennio che ha fatto schifo quanto molti altri: ho i miei motivi per pensarlo, e magari uno di questi giorni metto nero su bianco) è “la voglia nemmeno tanto inespressa di indottrinare, per una manichea visione del mondo che divide i buoni dai cattivi, i seri dai cazzari, i profondi dai fuffaroli. Sento con tutto me stesso che questo non è giusto, maledizione. E la cosa che più mi fa andare in bestia è che io mi sento di appartenere ad una famiglia politica che, se non è la stessa, è parente di quella che esprime tutti i Vecchi del mondo. Guardando e leggendo Vecchi, ho paura di vedermi allo specchio: deformato, ma pur sempre specchio”.
P.S. Il virgolettato corsivo è tratto da una missiva personale, che mi auguro venga utilizzata dal destinatario. Spero che non se ne abbia a male se ne ho rubato un pezzo, ma, in fondo, il testo è mio…
23/04/2003
A volte ritornano
Ebbene sì: Benedetto Vecchi propina un’altra articolessa in risposta alla valanga di critiche che gli sono piovute in testa dopo il suo intervento a BlogAge ed il suo primo articolo su QS.
Io gli ho risposto così.
Caro Vecchi, a volte la toppa è peggio del buco.
Questa volta, ho il piacere di leggere un suo pezzo scritto in italiano corrente ed intelleggibile, il che è un gran pregio: ahimè, questo mi consente semplicemente di fare meno fatica nel coglierne il senso.
Per quanto mi riguarda, le accuse di isteria relativa al linguaggio da lei utilizzato, le rispedisco al mittente sogghignando: lei ha parlato (a BlogAge) ed ha scritto (su QS) in un modo che a tanti ha ricordato quei bei piani quinquennali dei kolkhoz di Sverdlovsk.
Se lei ha un altarino nel soggiorno, dedicato agli anni Settanta, affari suoi: le comunico che le attività da lei elencate (divertirsi, andare al cinema, persino fare l’amore) sono tuttora praticate. Per accorgersene, le basta uscire dal kolkhoz.
Quanto alla rispettiva conoscenza dei blog, basta leggere la sua definizione di Matteoc di skip intro, per poter quantificare almeno la sua. Ma questo è un peccato veniale (sebbene indicativo, se non altro, di scarsa frequentazione dell’ambiente). E poi, come a scuola, basta applicarsi per migliorare, almeno un pochino.
Da ultimo, mi pongo e le rigiro la sua stessa domanda: perché tanta fatica sprecata per le magnifiche sorti progressive della fuffa?
E mi rispondo che questa fatica non è ancora sufficiente: la vera fuffa contro la quale tante intelligenze combattono è quella delle incrostazioni ideologiche, delle letture predefinite, quella dei Formenti che un giorno inneggiano alla bellezza “dell’Internet traboccante di piccoli racconti” ed il giorno dopo si augurano la scomparsa dei piccoli raccontatori, quella di chi giudica questo microcosmo sulla base della visione di cinquanta blog, quando ce ne sono altri diecimila (e non è un numero messo a caso) che – se non altro in forza del numero – rappresentano tutt’altro. Di tutto questo lei si sarebbe potuto rendere conto parlando con i blogger, uscendo con loro a bere una birra dopo BlogAge: cosa che è avvenuta davvero, mi creda, nel nuovo millennio e non negli anni Settanta.
Ecco, secondo lei noi nuotiamo in un narcisismo inutile quando non addirittura dannoso. E sia: ma allora perchè spreca del tempo con noi?