C’è gente che mantiene le promesse
Come GuruGranieri, che aveva promesso un post su blog e numeri, e l’ha appena fatto. E io, da scioperato quale sono, gli ho appena risposto. Sta tutto qui.
P.S. L’onore fattomi da GG mi fa passare sopra al terribile sgarbo che mi ha inflitto non linkandomi. Temo che l’abbia fatto apposta, per farmi capire che gli accessi non sono importanti.
30/04/2003
Business is evil
Perchè in Italia tante persone guardano al famigerato articolo 18 come all’ultimo baluardo della difesa dei diritti dei lavoratori, quando in moltissimi altri paesi non esistono norme simili?
Andando all’osso, secondome, il motivo principale si chiama paura.
Paura di perdere il lavoro, e di non trovarne un altro. Brutale e semplice. Lo so, perchè l’ho vissuto in prima persona (per chi vuole, ho messo qui un ricordo).
Oggi non mi interessa la seconda faccia di questa paura, quella che riguarda l’oscena visione di se stessi vaganti dalla poltrona al divano, con in mano un giornale di inserzioni gratuite, e la moglie che telefona ogni mezz’ora dall’ufficio per sapere se ti sei suicidato dalla vergogna e dalla disperazione.
Mi interessa un po’ di più la prima: la paura di perdere il lavoro. E’ ovvio che è legata a filo doppio al terrore di non trovarne un altro in tempi brevi, ma c’è qualcos’altro. E’ una sfiducia profonda nelle aziende. Negli imprenditori. Nei capi, nei padroni, chiamateli come volete.
E’ una paura che ha a che fare con la certezza quasi assoluta che il boss (sa di mafioso, ma contestualizzando suona più neutro) farà solo ed unicamente i suoi interessi personali; con la convinzione che il boss non è animato da alcuna etica calvinista (do you remember Max Weber?) del suo ruolo; con l’intima consapevolezza che padrone (o manager, o azionista) e dipendente non sono colleghi che collaborano per il raggiungimento di un obiettivo comune (e da quello traggono entrambi beneficio), bensì concorrenti che partono da posizioni diverse.
Insomma, si vuole difendere l’articolo 18 – con tutte le sue storture – anche perchè non ci si fida della controparte.
Questo è tragico. Ed ancora più tragico è constatare che questa sfiducia ha, alle spalle, un fondo di ragionevolezza.
Seguo la massa
Il must del giorno è l’outing sul referendum. Va bene. Credo che farò come Mim*mina: non andrò, e se avrò sentore del raggiungimento del quorum, andrò a votare “no”. Mettiamola così: il “no” è un male, perchè serve solo a confermare l’ingessamento di un sistema che già funziona male; il “sì” è un male persino peggiore, perchè estende il malfunzionamento ad altre aziende che, per il momento, non ne sono ancora vittime.
Starsene a casa mi ripugna, ma se può servire a far lavorare il Parlamento (cosa della quale dubito, sia chiaro), mi turo il naso e vado al parco con moglie e figlia. Ci son cose peggiori, nella vita.
Di simboli e speranze esaudite
Qualche giorno fa scrivevo di quanto mi sento a disagio nel guardare alle persone (meglio sarebbe dire “ai personaggi pubblici”) come a dei simboli, svuotandoli del loro contenuto umano. Per coerenza, dovrei sentire lo stesso disagio nei confronti di Cesare Previti.
Eppure, in tutta sincerità , non ci riesco. Il signore ha acquistato una sua corporeità nelle sue mille manifestazioni pubbliche. In queste, non ha mai impersonato nessuno e nient’altro che non fosse se stesso (e, per estensione, la sua cerchia di sodali, protetti e clienti): per intenderci, niente a che fare con un magistrato o un carabiniere, i quali incarnano lo Stato perdendo la propria individualità .
Io, per quel nulla che conta, ho sempre avuto in sommo disprezzo le manifestazioni pubbliche di Previti, nel contenuto e nella forma. Ci sono voluti tre anni e decine di udienze, ma si è arrivati ad una conclusione, seppure temporanea. La persona Previti è colpevole. Adesso possiamo lavorare sui simboli.