Cose serie, o dell’essere nella stessa barca
Ieri sera parlavo con una persona che lunedì ha trascorso mezza giornata bloccata in autostrada e l’altra mezza giornata ferma in aeroporto in attesa dell’ultimo volo, in sostituzione di quello perso in mattinata – il tutto grazie allo sciopero degli autotrasportatori. Un caso fra mille o centomila, senza nessuna particolarità: una persona che aveva un appuntamento di lavoro a qualche decina di chilometri da Londra, niente di più. Una privilegiata? No. Una donna con una casa, un marito, due figli, che rientra tardi la sera e spesso si ritrova a leggere la posta alle quattro del mattino. Come molte, molte altre persone. Persone il cui lavoro è solo apparentemente meno precario di quello di un camionista o di un operaio alla catena di montaggio, il cui futuro professionale – e non si parla di crescita, bensì di puro mantenimento – dipende dalla chiusura positiva di un buon contratto nel Northumberland o dalla capacità/possibilità di sostituire una scheda difettosa a Trondheim in meno di 24 ore.
Naturalmente tutti sono capaci di fare le debite proporzioni, di capire che il lavoro alla ThyssenKrupp può essere anche fisicamente pericoloso, oltre che di incerto futuro – pericolo che non viene corso dal sottoscritto o dalla persona con cui parlavo ieri sera, a meno di non comprendere nella categoria la possibilità di abbioccarsi al volante su un curvone dell’Autobrennero dopo aver guidato per settecento chilometri.
Dove voglio andare a parare? Non lo so bene nemmeno io; so che provo infinita pena (e molta rabbia) per chi muore cadendo da un’impalcatura, ma so anche che provo un fastidio, chissà quanto irragionevole, che tengo a bada per questioni di educazione quando avverto la retorica strisciante dello sfruttamento – chè un conto è la schiavitù, e un conto il far parte, in punti e con funzioni diverse, dello stesso grande meccanismo, e sapete, capita anche a noi – noi scendiamo da un aereo per salire su un altro – di trovarsi un giorno di fronte allo schermo di un computer che mostra la faccia di un signore che si trova a duemila chilometri di distanza e dice a te e ai tuoi colleghi con l’aria più compunta e però serena che si possa immaginare “you’re fired”, siete licenziati.
December 13th, 2007 at 11:17
Il problema è che “you’re fired” alla ThyssenKrupp prende una piega un po’ troppo letterale.
December 13th, 2007 at 11:24
D’accordo, e ho fatto le dovute premesse. Legga un po’ fra le righe, però.
December 13th, 2007 at 11:43
Ma sì, avevo letto e compreso, è che la mia superficiale attenzione si concentra più facilmente sulle collisioni lessicali, che a volte sono divertenti, altre come in questo caso agghiaccianti.
December 13th, 2007 at 12:33
fatte le debite proporzioni è la stessa cosa. perchè i problemi alla tk sono nati per le stesse dinamiche, applicate a piani diversi, che Le provocano questo fastidio. ed è in forza di queste dinamiche che la linea 5 della thyssenkrupp più che un luogo di lavoro sembrava il livello sette di resident evil.
December 13th, 2007 at 17:19
Le dinamiche a cui fa cenno il signor C. sono identiche OVUNQUE. Esitono diversi piani di sfruttamento. E quando da molto lontano si notano altre forme di sfruttamento ci si lascia andare alla retorica opposta: del tipo ‘oh guarda quanti bimbi che lavorano senza scarpe con la punta rinforzata e senza l’elmetto, ma guarda come son bravi questi! e nostri operai si lamentano pure!!’ Il discorso complesso sul lavoro dovrebbe essere messo maggiormente in luce senza tirare a citare Babbo Marx&Co. Di fatto per la sopravvivenza, il mutuo, la casa, l’assistenza medica, i figli, l’assicurazione sulla vita alla fine si finisce tutti sottilmente sfruttati. Chi in modo dignitoso e chi non. I compromessi li facciamo. Comunque (e mi ripeto), ovunque. La differenza sta solo nella distanza tra dignita’, onesta’ e sfruttamento in cui ciascuno di noi si barcamena in questa vita.
Nota a margine ‘you ‘re fired’ per i morti della TK ha una finezza da humour neronero che forse solo nei lager nazinazi si sarebbe trovato a cui per inciso TK deve parte della propria grandezza economica.