Mandi
Attraverso la bassa friulana – Latisana, Palazzolo, Gonars, Castions, Mortegliano, Lavariano, Chiasiellis – passando tra vigneti, ricordi di campioni del calcio, distese di mais, spacci di carne suina e i resti di un tempo in cui il fumo non era peccato, la ciminiera della manifattura e gli ultimi appezzamenti di coltivazione del tabacco. Alle due del pomeriggio, la cosa che si sente per davvero è il silenzio; probabilmente lo noto perché ho ancora nelle orecchi il rumore costante e inevitabile di Manhattan, e forse ci sono luoghi che si distinguono per il numero di decibel. Entriamo nel piccolo cimitero, fatto di pochi cognomi ripetuti decine di volte, fatto di nomi dimenticati da noi che a volte dobbiamo ricorrere all’inglese perché abbiamo perso memoria e uso della nostra lingua. Mi viene in mente il cimitero che sta all’inizio di Broadway, a due passi da Wall Street e a due passi da Ground zero, mi vergogno un po’ al pensiero che, per alcuni casi della vita uniti alla pigrizia e ad altri motivi meno nobili, sono quasi vent’anni che non metto piede in Sardegna e non ho mai visto le tombe di tre dei miei quattro nonni (rendendomi conto che questo, oggi, sarebbe il motivo più importante e lo stimolo più forte per farmi tornare laggiù). Ascolto il “cje bjel” che accoglie mia figlia, mi godo questa lingua antica stupendomi del fatto che riesco a capirne più di quanto mi ricordavo che fossi capace di fare, realizzo che non potrò mai lasciare alla bambina un’eredità paragonabile a questa che sta conoscendo ora, una qualche forma di radice tangibile, una lingua, un vecchio trattore, qualcosa di remoto eppure vivo.
E’ l’ora di tornare.