Forse il tempo
Il ragazzo guida con la lenta calma obbligata dai limiti di velocità. Ha poco più di vent’anni, una macchina a noleggio, una stazione FM e un’autostrada lunghissima davanti. Tiene il volume basso, per sentire il suono delle gomme sull’asfalto, e gli occhi aperti per ricordare da vecchio il panorama che gli sfila intorno. E’ tutto più grande di quanto avrebbe mai immaginato, più grande di quanto possa spiegare, più grande del vero. Si muovono camion a diciotto ruote, e Harley, e case mobili. Dopo qualche ora, avvicinandosi al confine di stato, vede all’orizzonte un grande cartello verde, e una figura piccola, che sta in piedi in mezzo ai due grandi sostegni metallici che reggono il rettangolo con le grandi lettere bianche. Il ragazzo alza il piede dall’acceleratore, rallenta quasi solo col freno motore, si sposta sulla destra, accosta, si ferma, a una cinquantina di metri dal cartello. La linea di cambio di fuso orario. Un passo prima, un’ora indietro. Un passo dopo, un’ora avanti. Guarda la figura, che è sempre lì, ma ora sembra meno piccola. E’ una ragazza, avrà forse la sua stessa età, i capelli neri e lisci che le cadono sulle spalle. Le si avvicina, lentamente. Quando le arriva al fianco si ferma, senza parlare. Guarda il cartello, e poi guarda lei. La ragazza ha uno sguardo strano, fissa il cartello con un occhio semichiuso, come se stesse studiando l’inquadratura di una fotografia anche se non ha macchine con sé. Ciao, dice lui. Lei non risponde. Lui riporta gli occhi sul cartello. Ogni tanto vengono investiti dall’aria spostata dai camion. Il ragazzo sente che vorrebbe farle cento domande, ma gliene viene una sola, cosa guardi, le chiede. E lei, serena, come se venisse dal futuro che sta giusto un passo oltre il grande rettangolo verde, risponde, con un tono e un accento che lui non dimenticherà più: non lo so, forse il tempo.