The Times They Are a-Changin’
Ci sono libri (e dischi, e film*) che hanno una loro stagione – come la frutta, la verdura e il linoleum. Quando passa quel tempo, sembrano irrimediabilmente vecchi: non antichi: vecchi, sorpassati dalle cose e dal mondo. Qualche settimana fa ho finito le “Lezioni americane” di Calvino; lo avevo iniziato due o tre volte, senza mai andare oltre le prime venti o trenta pagine. Ma questa volta l’ho portato in fondo. Una volta terminatolo, pur riconoscendone tutto il bello e il buono (come fai a non amare uno che scrive “la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca“) mi è rimasta questa sensazione di un’opera scritta a metà degli anni Ottanta pensando al millennio che arrivava, e fregata dal futuro: perché oggi che ci siamo dentro in pieno a quel millennio, le idee, le “proposte” di Calvino sembrano tanto sagge quanto rese polverose dal tempo sciatto e svagato (come scriveva Roscioni nella prefazione alla prima edizione) che avrebbero invece voluto arricchire e migliorare. Nessuno ha la sfera di cristallo, e a uno scrittore non si può imputare l’aver osato guardare dove non arriva la vista (“l’eccessiva ambizione dei propositi può essere rimproverabile in molti campi d’attività, non in letteratura“); è che a volte uno gira l’ultima pagina, e ciò che gli resta è una specie di amaro in bocca, quello che viene notando che i tempi non sono stati all’altezza delle speranze che li hanno preceduti.
* Ci sono tempi assoluti, generali; e tempi personali. Così capita che una sera ti trovi a guardare un film che ti è stato presentato – e con ogni ragione – come bello e angosciante, e arrivi alla fine ricordandoti una sola scena, quella della bara che viene chiusa sul volto sereno del ragazzo morto in mare, perché tutto il resto ti è scivolato addosso senza lasciare traccia. Per un po’ te ne chiedi il motivo, poi da qualche parte inizia una partita, e schiacci il tasto del telecomando.