Vista dall’alto sembra un treno che non finisce mai
Non sono andato a controllare l’anno perché non ho voglia di intristirmi più di quanto non lo sia già, ma il giorno in cui morì Bob Marley me lo ricordo piuttosto bene. Eravamo una manciata di cretinetti, e nel cambio tra la seconda e la terza ora ci dichiarammo tutti soddisfatti che quel tipo, per noi idolatrato senza un motivo al mondo, non ci fosse più; e lo facemmo, penso, nel modo povero e stupido di cui in generale sono capaci gli adolescenti di sesso maschile, gente che spesso si trova meglio con i grugniti che con le parole, figurarsi i pensieri.
Non starò qui a scrivere della grandezza di Lucio Dalla, uno dei pochissimi di cui io sia a conoscenza che sia stato capace di scrivere suonare e cantare il Disco Perfetto, né di quanto, per un sacco di tempo, farò fatica a riascoltare qualcosa di suo – sono tutte cose che altri saranno di sicuro [1] ben più capaci di fare rispetto al sottoscritto. Dirò invece che per un brevissimo istante ho capito perfettamente cos’hanno provato quelli ai quali si son gonfiati gli occhi quando sono morti Amy Winehouse o Whitney Houston o Michael Jackson, e in fondo è vero che pure dalla morte – almeno quella altrui – si può imparare qualcosa.
Di versi straordinari ne ha scritti mille, vai a sapere perché il mio preferito è questo che viene da Meri Luis, a sua volta la mia canzone preferita per quanto questo possa interessare – questa vita che passa accanto e con le mani ti saluta e fa ”bye bye”, questa vita un po’ umida di pianto, con i giorni messi male, vista dall’alto sembra un treno che non finisce mai – e il titolo viene da lì, nient’altro.
[1] Se c’era una persona sulla quale avrei scommesso, questa era proprio Guia. Leggetelo tutto, il suo pezzo su l’Unità, soprattutto questo brano: “Dentro, oltre a Futura e a Meri Luis, c’erano Balla balla ballerino e Cara, che da sole basterebbero a fare una carriera, che da sole basterebbero ad appagare le ambizioni di un cantautore medio.
Il guaio è che quelli che muoiono erano sempre «il più grande», e quindi poi non si nota la differenza quando muore davvero il più grande. Il guaio è che non abbiamo il senso della misura, e quindi già ieri, coll’immediatezza che pare ormai obbligatoria, con la mancanza di silenzio cui ci ha condannato l’opinionismo da social network, era tutt’un operare distinzioni: e però ha fatto anche cose brutte, cose commerciali, cose da dimenticare. E però. E però non ci sono opere minori che attenuino l’impatto di certe, maggiori. Se hai scritto Quale allegria e Com’è profondo il mare, hai diritto a tutte le Attenti al lupo, tutti i varietà del sabato con la Ferilli, tutti i toupé a nido di rondine e le collaborazioni sanremesi che vuoi. Hai diritto di divertirti come ti pare. Dalla aveva, sempre, l’aria di uno che trovasse divertentissimo il proprio essere la storia del pop, una figura di riferimento, un classico.”