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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    11/09/2009

    Living well is the best revenge

    Filed under: — JE6 @ 08:53

    Qualche giorno fa sono tornato nell’azienda dove ho lavorato per sette anni. Ho fatto il giro dei tre piani, ho salutato, mi sono fatto offrire il caffè, ho fatto la riunione che mi era stata chiesta, ho preso appunti; quando quella persona mi ha chiesto “come va?” le ho risposto con un mezzo sorriso “bene, grazie” e ho cambiato discorso. Ero entrato sapendo bene cosa dire, avendo preparato a puntino quel mix di sufficienza e sarcasmo che mi viene tanto bene se mi impegno solo un po’; ma quando ho avuto l’occasione di usarlo ho lasciato perdere, semplicemente perché sapevo che non ne sarebbe valsa la pena, perché sapevo che dire loro la semplice verità – sto davvero bene, né più né meno – non mi avrebbe fatto stare meglio né avrebbe fatto loro capire quanto sono riusciti a rovinare un bell’ambiente e la vita di un buon numero di persone. Finita la riunione ho risalutato, ho soffiato a distanza un bacio alla centralinista che era impegnata al telefono e non poteva parlare, ho attraversato il parcheggio e sono salito in macchina – e per un caso della vita dopo un paio di minuti lo stereo ha passato questa canzone dei R.E.M., quella che dice che vivere bene è la miglior vendetta, che è la cosa che quasi nessuno capisce – nessuno capisce che vivere bene è una cosa di ciascuno, non comparabile a quella degli altri, nessuno capisce che non è una gara, nessuno capisce che quello dello specchio riflesso è un gioco da bambini che rovina anche quel poco di buono che hai. Molto simbolicamente, per andare verso il mio nuovo lavoro ho dovuto imboccare una rotonda: l’ho percorsa tutta, trecentosessanta gradi o giù di lì, e ho alzato il volume.

    7 Responses to “Living well is the best revenge”

    1. apelle Says:

      Bello. Tra l’altro, da quelle parti di rotonde nuove ne han fatte a iosa 🙂

    2. Rossella Ninna Says:

      Ci stavo pensando anche io ieri sera senza i R.E.M.
      Non alle rotonde, eh? Al vivere bene senza confrontarsi ogni volta.

    3. Smeerch Says:

      Approvo.

    4. marcoscud Says:

      La descrizione delle sensazioni, mi è piaciuta, soprattutto perchè a me, nei miei 35 anni di lavoro, non è mai capitato di cambiare ditta. Posto di lavoro solo 4 0 5 volte e con il picco più alto che è coinciso con i 3 anni (esatti) di lavoro in California (San Josè dal 1987 al 1990). Tutto quello che è arrivato dopo non poteva che essere peggiore.
      Mi è rimasto solo un dubbio: sulle rotonde.
      Per andare avanti il giro che devi fare è solo di 180°. 240° se vuoi girare a sinistra. 90° se vuoi girare a destra.
      Se giri di 360° torni esattamente dove eri, e non ti sei mosso di un millimetro.
      E’ un grosso errore semantico (ma anche geometrico e pratico) che ti instillano sin dalla più tenera infanzia, ma è un errore ciononostante!

    5. Sir Squonk Says:

      Rilegga: trecentosessanta gradi o giù di lì. Ne bastano trecentocinquantanove per non ritornare nello stesso posto. E infine: nelle rotonde si entra, dalle rotonde si esce – vedesse il posto, capirebbe.

    6. marcoscud Says:

      Quando ho riletto, prima della sua risposta, il giù di lì, mi ha detto che un pochino fuori dal vaso la pipì l’avevo fatta. Ma anche 240° (invece di 270°) non era precisissimo. Però resto della mia idea, e la bellissima espressione americana, per indicare un totale cambiamento di idea: “About Face” indica proprio un giro di 180°.
      Nella mia mente l’accento maggiore che io ponevo era sul plauso alla descrizione delle sensazioni, che mi sono state negate da una granitica appartenza alla stessa Multinazionale Americana, così graficamente ben rappresentata da “I + un’ape + un occhio” e generalmente nota come la “Grande Blue” ma molto molto prima di Microsoft.
      Dopo esperienze raccapriccianti di certe rotonde in Tailandia o a Cipro nelle ore di punta del Venerdì pomeriggio (liberfi tutti) per uscire da Nicosia, qualche dubbio che da certe rotonde si esca sempre anche lei forse li avrebbe.
      Anche quelle del Giappone sarebbero terrificanti, ma in Giappone ed Australia mi sono ben guardato dall’affittare un’auto. In Giappone per eccesso di Giapponesi ed in Australia perchè già da sobri sono pericolosi, e sobri lo sono molto poco e molto raramente. Durante il mio soggiorno avevano appena battuto il record di morti per scontro frontale tra bus! Sorry per il commento non Twitteristico!

    7. marcoscud Says:

      Un secondo dopo avere mandato il post precedente, mi sarei mangiato il dito.
      Avere fatto coinciderela la fine di più di 3 mesi di vacanza con i primi 2 giorni di pioggia, non ha giovato molto al mio cervellino ciclotimico.
      Ovviamente la rappresentazione grafica fonetica dell’IBM è “Un occhio + un’ape + una M maiuscola (eye + bee + M).
      All’epoca (87-90) ancora nota con “Big Blue”. Erano altri tempi (pre Internet).
      Alla mia prima Immigration, in arrivo con un bel visto di tipo L1 per 3 anni (Lavoro) il doganiere mi chiese “What Company?” alla riposta “IBM” lui aggiunse “If you’re good for IBM, yoy’re good for me as well” e segnò col gesso tutti i bagagli senza neppure degnarli di uno sguardo.
      Altri tempi, pre prima Gulf WAR, pre Al Qaeda, pre Crisi, quando persino Bush era quello buono: il padre. Anche se mentiva come e peggio di Obama: “Read my lips, no new taxes” diceva in campagna elettorale, e di tasse ne mise peggio di un Democratico Liberal!

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