Il momento peggiore è la sera, quando provo ad addormentarmi. Il buio interrotto dalle luci di emergenza, i lamenti di quelli che come me non arrivano a sera abbastanza stanchi e non si possono girare nel letto perché i tubi glielo impediscono. Allora sto lì, con gli occhi aperti ad ascoltare il respiro pesante del mio compagno di stanza, sperando che il suo russare leggero e continuo mi intontisca come se stessi contando le pecore o guardando il Gran Premio alla tv. Sto lì, con gli occhi aperti, e penso, perché non ho altro da fare. Penso all’operazione, mi chiedo se andrà bene e come ne verrò fuori, se abbastanza simile a com’ero due o tre anni fa oppure storpio per il resto della vita – se così si potrà chiamare. Penso che magari mio figlio si vergognerà di me e farà di tutto per nascondermi ai suoi compagni e alle sue fidanzate, magari mia moglie si stuferà di accudirmi, magari i miei amici non avranno più tempo e voglia di venire a trovarmi. Penso che potrò uscire da qui solo se qualche disgraziato ci lascerà la pelle, magari tornando ubriaco da una notte passata a sbronzarsi con i colleghi, o cadendo da un’impalcatura di un cantiere. Quando guardo il telegiornale mi dico che là fuori ci sono i problemi veri, pensa a tutti quelli che non hanno una casa per il terremoto, pensa a quelli che hanno perso il lavoro, pensa a questi e pensa a quegli altri; ma dura poco, dopo qualche minuto mi ritrovo a pensare a quando quel qualcuno cadrà dall’impalcatura e mi tirerà fuori da qui, e mi vergogno, e anche se è mille volte stupido mi sento in colpa per essere malato perché è vero che non l’ho voluto io, ma sto rovinando la vita a quelli ai quali voglio bene, gli ultimi ai quali vorrei farlo. E’ una cosa che tengo per me, se lo dicessi a qualcuno subito verrei rimproverato, “ma che cazzo dici, ma di quali sensi di colpa straparli, tu e il tuo cristianesimo del cazzo” ma io non so cosa farci, e allora sto zitto, e resto lì con gli occhi aperti a guardare nel buio, ad ascoltare quelli che come me non riescono a dormire, aspettando la morte per poter vivere di nuovo.