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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    26/09/2008

    Tappe forzate – 3.

    Filed under: — JE6 @ 16:02

    Questa è una novella a puntate scritta a quattro mani.
    [La prima puntata, qui; la seconda, qui]

    3. L’abito non fa il monaco

    [Lui]
    Beh, c’è da morire dal ridere. Come l’ho toccata sulla coscia, giusto con la punta dell’indice come si fa per svegliare qualcuno, la pischella si è tirata su che neanche si fosse trovata una tarantola ci siamo capiti dove. Ehi tesoro, stai serena: voglio solo offrirti un caffè, non ho intenzione di metterti le mani addosso. Magari per darti due sberle, visto che fai la figa scontrosa e incazzata con il mondo, collega incluso. Ma poi non sarei capace, che non so litigare con la gente e se mando a fare in culo qualcuno mi vergogno di me stesso e mi viene pure da chiedergli scusa.
    Comunque.
    Entriamo nell’autogrill. La ragazza dietro al banco mescolava birra chiara e seven up; ma tu che ne sai, Cristo, di una canzone così, capace che ti piacciono i Negramaro e aspetta, com’è che si chiamano quegli altri morti di sonno, i Tiromancino. Oddio, sí. Mi sa proprio che sei quel tipo, happy hour e Tiromancino. Ah ah ah.
    Questo pensiero mi mette di buonumore. Mi passa proprio il nervoso che mi avevi fatto venire; volevi farmi sentire un insopportabile, vecchio, noioso sfigato. Un insignificante portatore di giacca e cravatta. E lo sai? Ci stavi quasi riuscendo. Ma ognuno ha la sua polvere sotto il tappeto, Alice. Happy hour e Tiromancino. Ah ah ah.
    Vado in bagno per lavarmi le mani. Mi guardo nello specchio; tutto sommato faccio la mia figura, però mi tocca ammettere che se pensavi quel che credo, una ragione o due ce le avevi. Portatore neanche tanto sano di giacca e cravatta. Vaffanculo, Alice. Vaffanculo tu e i tuoi happy hour e i tuoi Tiromancino. Mi tolgo la giacca. Mi sfilo la cravatta. Slaccio il bottone del collo della camicia. Rimbocco le maniche, come mi ha insegnato anni fa quel commesso gay a Riccione – piega a metà, poi a metà ancora e lascia fuori il polsino. Mi riguardo. Sembro il Baricco dei tempi belli, anche se lui non aveva quel microtatuaggio all’interno dell’avambraccio “Police on my back”, fatto quando avevo la fissa per i Clash.
    Torno nella sala, mi dirigo verso il bancone dove la signorina-aperitivo mi sta aspettando. Le sorrido radioso, falso come solo noi del marketing possiamo essere, appoggio i gomiti sul banco, le chiedo cosa vuole e ordino il suo cappuccio e brioche. E una birra media, grazie signora. Sono le otto e un quarto del mattino. Ma lei non sa che ho fatto colazione più di due ore fa, e me lo posso permettere. Mi guarda come se fossi un alieno. Si sta chiedendo se quello che si sta scolando una Heineken è il gemello del fossile che è venuto a prenderla sotto casa, mi sa.
    Sono io, Alice. Sono proprio io. E sai cosa? Ce la possiamo prendere comoda, con ‘sto viaggio. Adesso voglio provare a capire chi sei tu.

    [Lei]
    Bello arzillo se ne va verso il bagno, questo tipo strano, e bello arzillo se ne esce.
    Si è fatto la toeletta a quanto pare, ha i capelli un po’ bagnati. Io per me mi butterei sotto la doccia. Io per me farei l’autostop per tornare a casa. Io per me eviterei di guardarlo con un pizzico di compassione, come sto facendo ora, mentre lui cammina verso di me. Non sono superiore, no, figuriamoci. Ho solo i cavoli miei, ho solo un po’ di cose da sistemare, ma sono sicura di riuscire, solo che mi serve tempo, e questo week end buttato nel cesso coi colleghi non aiuta, ho solo bisogno di riposarmi un po’, ho solo… tanto sonno.
    Fisso il cartello con l’elenco della caffetteria, e quando alzo lo sguardo me lo trovo di fianco, sorridente, piacione, che mi chiede cosa voglio. Ora, io non so che caspita gli passi per la testa a questo qui, nel momento in cui ordina una birra per sé e un cappuccino per me. Io non so cosa pensare. Forse vuole impressionarmi – e in tal caso mai gli darei soddisfazione – , forse non sa che pesci pigliare e si butta sull’alcol, forse è solo un alcolizzato, forse è originario della Baviera. Spero solo che non mi aliti in faccia, perché potrei vomitare. E allora sì che faremmo un bel duo. Alla Beavis and Butthead, per capirci.
    Insomma si beve la sua birretta mentre io lo osservo. Ha una scritta sul braccio, questo tizio. Colgo solo la parola “back”. Il resto non riesco a leggerlo. Sarà mica una volgarità? Una frase sul sedere di qualcuno, o su quanto è bello il sedere. No aspetta, che cosa sto dicendo, sedere si dice “bottom”. Ma forse anche “back”. Boh.
    La sua birra sembra eterna. O forse è lui che la fa durare più del dovuto. Vorrei essere fuori di qui, vorrei essere già in macchina. Vorrei anzi essere già a destinazione, vorrei separarmi da lui. Non voglio essere costretta a passarci del tempo. Vorrei viaggiare in compagnia di una persona sobria, se possibile. Vorrei che non facesse lo stronzo e non mettesse a repentaglio la mia sicurezza. Fanculo, razza di stordito, se proprio devi, ubriacati a casa tua. Non dico nulla, ma invio un messaggio al mio migliore amico salutandolo per l’ultima volta.
    Ci avviamo verso l’uscita. Mi giro e gli chiedo sorridendo se ce la fa a guidare. Mi apre la porta, e sotto gli occhi mi passa di nuovo quella scritta. Non riesco a leggere. Lui mi sorride e mi fa un buffetto sulla guancia (è ufficiale: questo qui tocca). Mi guarda come si guarda una bambina piccola: “Tranquilla”.
    Sono nervosa.