Sto assistendo con stupore ad un evento che non credevo più possibile: ci sono zone, a Milano, nelle quali i bambini possono ancora fare vita di cortile. Nel quartiere dove sono nato e cresciuto, il Gallaratese, c’è un gruppo di case unite tra loro appunto da una serie di cortili inframmezzati da spazi verdi con alberi e cespugli. E qui si capisce che i bambini sono sempre gli stessi – per fortuna, verrebbe da dire: la simpatica banda della quale la persona corta è entrata a far parte passa la sua giornata scorazzando in bicicletta, arrampicandosi sugli alberi di fichi, facendosi la casetta immaginaria nel grande cespuglio ai piedi della vecchia centrale termica, organizzandosi per portare al canile un randagio perso vicino all’ex asilo nido, sedendosi su un marciapiede a parlottare fitto con’amica “delle nostre cose”, sbucciandosi le ginocchia dopo essere caduta dai pattini. Così, per ore e giorni. Certo, non giocano più a “mondo”, a biglie o macchinine. Però mi affascina comunque questa aria di piccolo paese che si respira, i nonni che sorvegliano i nipoti, i genitori che nel tardo pomeriggio ritornano dal lavoro e riabbracciano i figli. La prossima settimana riprende la scuola, e la nostra Pippi tornerà alle sue otto ore di lavoro e alla piscina e al pianoforte e ad un’agenda fitta e rigida come quella di un amministratore delegato – o di un impiegato di quarto livello. Ma, nel frattempo, si sbuccia le ginocchia: va bene così.