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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    16/12/2008

    Le parole che non ti ho detto

    Filed under: — JE6 @ 23:00

    [Liberamente ispirato a e da questo post della Tengina]

    Le parole che non ti ho detto sono rimaste sempre qui.
    Non te le ho dette perchè non ne sono stato capace, e perchè non erano le parole giuste, e perchè erano giuste ma non era giusto dirle, e perchè tu non hai detto le tue, e perchè tu non mi hai fatto capire che le stavi aspettando, e per tutti questi motivi insieme. Eppure quelle parole tu le hai sentite, anche se io non le ho dette.
    Non hai mai risposto davvero, o forse lo hai fatto – anzi, ora che ci ripenso sono sicuro che lo hai fatto, e potrei anche dire quando – e io non l’ho capito. Ma in fondo siamo uguali, anche se sembriamo tanto diversi, e infatti stiamo meglio in silenzio. Ed è per quello che non ho bisogno di dirti quello che già sai: sono ancora qui, non me ne sono mai andato: e le mie parole, quelle che non ti ho detto, sono qui con me.

    Pendolari

    Filed under: — JE6 @ 16:24

    Non per sparare sulla crocerossa, ma un mese fa Veltroni e Bettini e compagnia cantante magnificavano le sorti del PD che aveva vinto – udite, udite – le elezioni in quel di Trento. Oggi la strana coppia ci rivela che servono “innovazione e dirigenti nati con i democratici” e che il PD non è stato capace di trasmettere il nuovo perchè ha perso – udite, udite – le elezioni abruzzesi. Non pensassi di essere ancora vagamente di sinistra, direi che bisognerebbe pagarli perchè lo spettacolo continui.

    E tu, come va?

    Filed under: — JE6 @ 07:52

    [La giornata giusta per pubblicare il mio contributo al PslA 2008 sarebbe stata ieri, ma l’ho capito tardi. E quindi, eccolo qui]

    Un secondo prima di cancellare il nome dalla rubrica del telefono venne colto da uno scrupolo, e decise di telefonarle per farle gli auguri di Natale. Andò alla finestra, guardò le luminarie appese ai balconi, fece un respiro profondo e premette il tasto verde. La salutò, le chiese come stava, stette ad ascoltarla elencare i suoi problemi amorosi, apprese dell’esistenza di un uomo che non la ricambiava. Per un lungo, interminabile, penoso quarto d’ora recitò la parte dell’amico, diede buoni consigli, dispensò saggezza, regalò battute, offrì comprensione. Per un lungo, interminabile, penoso quarto d’ora si ricacciò in gola tutte le parole che per mesi aveva pensato di dirle, senza mai trovare il coraggio e il modo di farlo. Guardò una famiglia nel palazzo di fronte sedersi a tavola per la cena della vigilia. Per un momento non prestò più attenzione alla voce che gli riversava addosso tutti i problemi che lui avrebbe potuto raccontare, quasi con le stesse parole, nel suo diario – quello che ancora ostinatamente si obbligava a scrivere per non perdere traccia di ciò che gli capitava. Poi ci fu una pausa, un silenzio che a lei servì per prendere fiato e a lui per risvegliarsi.

    “Beh, senti. E tu, come va?”

    “Io? Bene. Sì, bene, molto bene.”

    “Mi fa piacere. Allora, grazie per la telefonata e buon Natale.”

    “Buon Natale anche a te.”

    Schiacciò il tasto rosso e chiuse la chiamata. Riguardò la rubrica, la scorse fino a trovare il nome; quando lo trovò decise di farsi un regalo, e lo cancellò.