La corsa
Arrivano tenendosi per mano, come tutte le mattine. Aspettano che il vigile gli faccia cenno e attraversano la strada; qualche cenno di saluto col capo, una
sistemata alla cartella. Passano il primo cancello, in silenzio. Due passi prima del secondo cancello, quello più stretto che porta nella piccolissima scuola di periferia, il bambino stacca la mano e senza dire nulla si mette a correre. Il padre rimane fermo, stupito, ha visto sul volto del figlio un sorriso talmente breve da non avergli dato importanza e adesso lo guarda correre dentro il salone della scuola, quello sul quale si affacciano le cinque classi, lo vede muoversi contento e goffo come può essere un bambino di nove anni che non ha mai corso per davvero, che non ha mai parlato, che ha vissuto un’eternità dentro se stesso. Incrocia lo sguardo della maestra che sta all’ingresso ad accogliere i bambini, la vede ridere come se volesse dirgli hai visto, non è magnifico? e magnifici lo sono davvero quei passi di corsa incerti e spontanei.
Il padre rimane ancora per qualche secondo a guardare il figlio che ormai sta entrando nella classe, il figlio che lo ha lasciato senza salutarlo preso dall’entusiasmo di unirsi ai suoi compagni. Poi gira le spalle, vorrebbe dire subito a sua moglie cos’è successo in quei pochi istanti, ma aspetta a telefonarle perché non vuole farsi sentire, non vuole parlare nel flusso frettoloso di madri e nonni e bambini che entrano ed escono, vuole un minuto solo per loro due. Aspetta che il vigile fermi il traffico, attraversa la strada, entra nella macchina parcheggiata nella posizione rischiosa di ogni mattina. Quando si siede, nel momento in cui digita il numero della moglie viene improvvisamente schiantato da anni di dolori e tristezze intervallati da brevi sprazzi di speranze, da infiniti giorni di fatiche, di litigi alimentati dal nervosismo e dalla frustrazione, da notti passate a guardare il volto del figlio, quel figlio diverso da tutti gli altri bambini, quel figlio che ha sempre vissuto nel suo mondo chiuso a chiunque altro. Scoppia a piangere, e per un minuto o due non fa altro, piange come piangono gli uomini, i maschi, piange di getto. Quando finisce si sente stremato, e finalmente pronto a condividere la microscopica felicità di aver visto per la prima volta il figlio essere un bambino come qualunque altro, un bambino che corre e gorgoglia un rauco ciao per salutare i suoi amici, quelli ai quali stanno insegnando come si sta vicini, come si aiuta un coetaneo malato e strano. Scorre la rubrica del telefono, trova il nome e il numero e la fotografia della moglie. Amore ciao, ti devo raccontare una cosa.
November 22nd, 2009 at 19:23
Thanks, as usual. PSL’A is almost done.
November 25th, 2009 at 23:52
post bellissimo, complimenti e grazie.
November 29th, 2009 at 17:35
avevo letto questo post la settimana scorsa, oggi sono arrivato di nuovo sul tuo blog da ff e ho ricercato questo pezzo per rileggerlo, mi era rimasto dentro…bellissimo.