< City Lights. Kerouac Street, San Francisco.
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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    16/10/2011

    In mezz’ora (Coniglio Mannaro reloaded)

    Filed under: — JE6 @ 15:41

    In realtà mi è bastato anche meno, quattordici minuti di intervista fatta da Lucia Annunziata a uno dei quindicimila leader del Movimento, per realizzare che il vuoto pneumatico fatto di pratiche, problematizzazioni e analisi unitarie non è che la riedizione in salsa centrosocialistica dell’eloquio di Arnaldo Forlani – e si sa che gli originali son sempre meglio dei cloni.

    12/10/2011

    Prepensionamento

    Filed under: — JE6 @ 09:26

    Va bene che questo è il paese dove o si va in pensione a diciottoanniseimesieungiorno oppure non ci si va mai, ma il commento all’annuncio di un calciatore del suo ritiro fra tre anni (non esattamente domani mattina, ecco) dopo sedici anni di molto ben remunerata carriera può essere diverso da “ossantocielo, quanto sono addolorato – yawn”?

    11/10/2011

    The order for rejoicing and dancing has come from our warlord

    Filed under: — JE6 @ 13:03

    Io non riesco a trovare esempi migliori di certovirgolacertismo dei leghisti che dicono che sono pronti a imbracciare le armi al primo cenno di Umberto Bossi.

    07/10/2011

    Questa è acqua (de gustibus eccetera)

    Filed under: — JE6 @ 14:35

    No, non è una gara. Ma cosa vuoi, tra David Foster Wallace che parla ai laureati del Kenyon College e Steve Jobs che lo fa a quelli di Stanford io prendo tutta la vita il primo.

    Outspoken, L’Espresso

    05/10/2011

    Greetings from Providence – Just in case

    Filed under: — JE6 @ 23:35

    Niente, volevo solo dirvi che se per caso passate nel New England, e avete un tre ore di tempo, e volete salire su un treno dell’Amtrak per vedere com’è fatto, e volete poter dire di aver visitato anche The Ocean State e vi piacciono le città piene di statue dedicate a imprecisati patrioti e insomma se pensate di non aver di meglio da fare allora una toccata-e-fuga a Providence, Rhode Island ci può pure stare.

    Greetings from Boston – Beacon Hill

    Filed under: — JE6 @ 16:02

    Beacon Hill è un reticolo di vie strette prese di peso dall’Inghilterra vittoriana – le case in mattoni piccoli, l’aria che respiri, il private garden di Louisburg Square. Non importa che alle finestre sventolino bandiere stelle-e-strisce, né che sugli scalini di ingresso alle case sia depositata la copia incellofanata del Boston Globe della domenica, qui sei dalle parti della Tetley’s a Leeds, sei alle spalle della cattedrale di York, sei nel 1820 a South Kensington. Ci rimani quasi male, perché pensi che l’America sia un’altra cosa, perché in fondo vuoi che l’America sia un’altra cosa, allora guardi tutto e fotografi e imprimi nella memoria, però poi scendi dalla cima di questa collinetta e ti butti verso Boylston Street che è larga come la Sixth Avenue e ha i marciapiedi che vanno da Porta Venezia a Cadorna e c’è il Prudential Center con mille negozi e passano le limousine, perché i sogni o sono grandi o non sono sogni, e siamo qui per loro.

    Greetings from Boston – Rust never sleeps

    Filed under: — JE6 @ 16:02

    Cammino lungo uno dei ponti che attraversano il fiume Charles, guardo le barche a vela che sfruttano il vento del weekend e i palazzi del MIT, e la ruggine del metallo della struttura del ponte. E’ una cosa che non smette mai di stupirmi, anche se vengo negli USA da ormai tanto tempo. Pare un paese che faccia fatica a mantenersi, lo vedi nelle metropolitane unte con i ventilatori piazzati alla meglio per mitigare il caldo, nelle lunghe sterpaglie che accompagnano i pedoni lungo strade trafficate come la Summer Street di Boston, nei marciapiedi sconnessi di Hell’s Kitchen, nelle guarnizioni sfinite dei treni dell’Amtrak, in cento piccoli particolari che fanno a pugni con lo splendore dei grattacieli e dei negozi e dei parchi e delle biblioteche. Non è mai tutto lindo e lustro e apparentemente perfetto come, chessò, a Lucerna, forse è perché le case più sono grandi e più si fa fatica a mantenerle in ordine, perché trecento milioni di persone sono tante per davvero, forse perché la macchina comunque va, e chissenefrega se la carrozzeria è ammaccata qua e là.

    04/10/2011

    Greetings from Boston – T.

    Filed under: — JE6 @ 14:10

    Dopo tanti anni siamo una specie di compagnia di giro, ci vediamo una volta all’anno, magari due – dipende da come sono messi i calendari delle fiere. Ci siamo visti ingrassare, cambiare aziende, scambiarci clienti, consigliarci luoghi per le vacanze. Quando ci vediamo ci abbracciamo, se non siamo troppo di corsa ci sediamo da qualche parte – sui divani della reception, nella International Lounge – a bere un caffè americano e scambiare quattro chiacchiere, come va, tutto bene. Non ricordo la prima volta che ho incontrato T., ma credo che sia stata sei o sette anni fa. E’ un bel tipo, brillante, simpatico, sempre allegro. Viene da Manila, non abbiamo mai lavorato insieme ma mi dicono che sia bravo. Per anni ci siamo trovati in questa fiera, lui di solito veniva con una sua collega, una bambolina asiatica che aveva un sorriso per tutti. Era sempre elegante, T., di una eleganza piuttosto formale, completo scuro, cravatta in tinta, scarpe di cuoio. A volte addirittura troppo per essere in una fiera. L’ho incontrato ieri per caso, ero con un amico francese e parlavamo proprio di T., noi attraversavamo l’enorme hall del Convention Center di Boston in un senso e lui nell’altro, il mio amico mi dà di gomito e fa un cenno con la testa, indica T. che ancora non ci ha visti. Strabuzzo gli occhi, sembra un altro, giacca sportiva blu, camicia bianca fuori dai jeans, jeans e Adidas, barba accennata. Il mio amico gli grida “hey, look at you, you look great, twenty-years-old!”. Io lo saluto, ci abbracciamo, lui ride, io gli dico che sta da dio, davvero, mentre facciamo quattro chiacchiere faccio il riassunto mentale di ciò che so di lui e di questo suo ultimo periodo, so che ha avuto qualche problema familiare, ha cambiato lavoro, si è messo in proprio, non gira più con la bambolina che adoravamo tutti e tutti pensavamo che fosse la sua fidanzata ma nessuno aveva il coraggio di chiederglielo, nel suo piccolo è uno che è caduto e si è rialzato, e quando si è rimesso in piedi ha cambiato il taglio dei capelli, si è tirato la camicia fuori dai pantaloni, io rido indicando le Adidas e lui mi fa “you know, I thought that Dr. Martens were too much for this place”, tutti e tre ci mettiamo d’accordo per vederci stasera dopo la fiera in uno dei cento party che incorniciano la fiera – networking party, li chiamano. Ed è vero, birra e biglietti da visita, che è sempre più facile chiamare qualcuno al telefono se ci hai bevuto insieme – poi noi due prendiamo la scala mobile che porta verso gli stand e lui invece se ne va da un’altra parte, lo guardiamo allontanarsi e ridiamo e siamo contenti per lui, non dico nulla ma penso che l’abito fa il monaco, e a volte è il monaco che fa l’abito, come quello che T. ha deciso di mettersi addosso per cambiare vita.

    Greetings from Boston – “Huh?”

    Filed under: — JE6 @ 12:38

    A volte penso che la parte peggiore del mio lavoro sia quella di sedermi di fronte a un cliente e passare il primo quarto d’ora a rispondere a qualcosa tipo “And what about your prime minister, huh?”

    Greetings from Boston – Harvard

    Filed under: — JE6 @ 12:30

    Harvard è come te l’aspetti, viali alberati, edifici imponenti in pietra o mattoni, edera e ragazzi in giacca blu, pantaloni chiari, cravatte dai nodi incerti e mocassini, come i due gemelli di The Social Network, o gli studenti dell’Attimo fuggente. E’ come te l’aspetti, solo moltiplicata per arrivare a dimensioni per noi innaturali, dalle Houses in riva al fiume Charles a Mass Avenue, e in mezzo la sensazione schiacciante di essere dentro un mito vivente – ehi, questa è Harvard. Guardi i palazzi, solidi come montagne, guardi i vestiti eleganti e sobri di chi va a sentire il sermone del pastore alle undici della domenica mattina, cerchi di capire come questa immensa tradizione riesca ad andare insieme alla quella cosa che chiamiamo modernità – come saranno le aule, polverose e ruvide o lucide e lisce come un laboratorio appena installato. Fuori si fermano i pullman dei turisti, e si preparano le bancarelle del mercato, salsicce, clown, massaggi, ciambelle, chitarre, t-shirt, come se fosse il Village a New York e invece è Harvard, quella dei film, quella dei presidenti americani, quella che basta il nome.