Il ragazzo aspetta sul marciapiede, le mani in tasca, una gamba piegata con il piede appoggiato al muro, la borsa morbida lasciata per terra. Si guarda intorno, strizza gli occhi quando incrocia i raggi del sole dell’inizio dell’estate, fa passare lo sguardo sulle vecchie palazzine nobiliari, le palme, le tende, ascolta il silenzio di una via centrale che per motivi a lui sconosciuti sfugge al traffico. Ogni tanto guarda verso l’incrocio che sta alla sua destra, a un centinaio di metri di distanza.
La ragazza arriva dopo una decina di minuti, rallenta e accosta guardando dritta avanti a sé. Parcheggia, prende la borsa dal sedile del passeggero, scende, si avvicina al ragazzo. Si salutano scambiandosi un bacio sulla guancia. Sono in ritardo, dice lei, vai, non ti preoccupare, risponde lui. Lei sorride, lui le dice quanto ti stanno bene questi jeans, lei sorride ancora e guarda la borsa di lui lì, sull’asfalto del marciapiede. A che ora parti, gli chiede anche se lo sa benissimo, fra un paio d’ore dice lui, che poi fa un cenno verso un giardino custodito da un cancello in ferro battuto, ci sono le palme, dice, sì, risponde lei. Fai buon viaggio, gli dice, adesso vado. Lui non dice niente. Si china, raccoglie la borsa. Ti stanno davvero bene questi jeans, sai. Adesso vado, ci sentiamo dopo, sì, ciao, ciao, vieni qui, siamo in mezzo alla strada, lo so, vieni qui, il ragazzo allarga le braccia e la stringe, senza dire nulla.