Tough stuff
Uh, quante volte i commenti nobilitano i post (magari già nobili di per sè).
Licenziamentodelpoeta cita Tom Wolfe, chez Jacopo: “… mai presumere che il lettore debba interessarsi a noi: nello scritto dev’esserci roba tosta (lui disse “tough stuff”), roba che lo tenga incollato alla pagina, e non i fatti nostri. E forse, per chiarire il concetto, vale la pena di riportare qui ciò che disse allora: – Io sono una persona comune, tu sei una persona comune, non abbiamo fatto la guerra, non siamo stati in galera, non abbiamo ammazzato nessuno, siamo stati entrambi a letto con un numero di donne più o meno normale, io mi sono sposato e ho fatto dei figli, tu per ora no. Che può fregargliene al lettore di quello che abbiamo fatto noi due? Niente. Ti puoi permettere di ammorbare il lettore con la roba che hai fatto tu nella vita? No”.
Mi tocca chiudere il blog.
PS – Non scherzo.
April 30th, 2004 at 15:00
Non esagerare, su ;))))
April 30th, 2004 at 15:13
Vabbeh, ci penso. Però, ammetterai che la tentazione viene, eccome.
April 30th, 2004 at 15:23
Ma noi non siamo scrittori di professione; nessuno ci paga perché scriviamo ciò che lo interessa. Non so gli altri, ma io ho cominciato a scrivere sostanzialmente per me stesso, per fermare dei ricordi, per mettere per iscritto delle riflessioni e capirle meglio. Poi ho cominciato a conoscere delle persone con cui ho delle affinità, solo per iscritto o in real life. A quel punto di queste persone mi interessa anche sapere se hanno il mal di gola o che giochi fanno col bambino. Mi interessa molto più di tanti Grandi Discorsi letterari o politici. Una di queste persone, caro SMS, è indubbiamente lei.
Per cui, Sir, se chiude il blog salgo da lei e le faccio del male fisico.
PS – Non scherzo.
[assume un volto vuoto e inespressivo come l’infermiera pazza di Misery]
April 30th, 2004 at 15:35
Vedi Sergio, di quel genere di lettori di cui parla Jacopo io, per esempio, non sono minimamente interessato. De gustibus.
April 30th, 2004 at 15:38
Lester, sono commosso (e non scherzo).
Lo so, in prima battuta scriviamo per noi stessi; ma non si scrive “pubblicamente”, come si fa in un blog, senza pensare che c’è qualcuno dall’altra parte del cavo telefonico. E questo cambia radicalmente le cose, dal lato-scrittore: avendo consapevolezza dell’esistenza degli altri, si pensa di più a cosa ed a come si scrive; e, ti dirò, questo non snatura la scrittura: la rende intrinsecamente più rispettosa dei lettori.
Ma parliamone, di questi lettori. Io credo che l’interesse, l’attrazione nei confronti di un blog apparentemente “personale” nasce se il racconto del mal di gola o dei giochi con i figli serve non solo a descrivere quella persona, ma anche – la sparo grossa – a capire il mondo. Questo avviene solo se chi scrive vuole che quello sia l’effetto: usare se stessi come uno specchio, o come un campione statistico. Le storie ci affascinano se ci dicono qualcosa: una colazione non ci interessa, se non è anche la nostra colazione.
Massimo: lo so, de gustibus. Io sono proprio uno di quei lettori. Mi sono rotto le scatole di gente che sa mettere splendidamente le parole una in fila all’altra ma non sa che cazzo raccontare (perdona lo sfogo, ma sto finendo De Lillo e lo faccio solo perchè ho la stupida convinzione che i libri iniziati debbano essere portati a termine a qualunque costo).
April 30th, 2004 at 16:34
Non ho titolo per darti consigli, certo, ma fossi in te andrei direttamente all’ultima pagina. Insomma, come ho fatto col tasto ffw del dvd player da un certo punto in poi di “Lost in translation”. E senza pentirmene. 😉 Stammi bene. ciao. M.
April 30th, 2004 at 16:36
Quello che dice è anche vero, infatti io non vado a scrivere cosa mangio a colazione. Però se Tom Wolfe mi scrive in un romanzo che la sua bambina ha il mal di gola me ne impipo altamente, se lo scrive lei no, perché lei a forza di leggerla la sento in qualche maniera vicino. Sì, in effetti è un equilibrio sottile fra personale e universale.
[con un largo sorriso soddisfatto, ripone lo scudiscio che progettava di usare su Squonk se avesse chiuso]
April 30th, 2004 at 17:24
la scrittura in rete, credo, risponde a leggi tutte sue. Un articolo di giornale ha il dovere di informare o di esprimere una posizione. Un romanzo, una storia, ha il dovere di costruire paradigmi, exempla. Costoro parlano a tutti e a nessuno, e ciò che scrivono va da loro a me, e funziona se mi interpella in qualche modo. Qui invece si intrecciano dialoghi, anche se infinitamente articolati, sfrangiati e sovrapposti, che stanno in un equilibrio precario tra scrittura e conversazione. Ciò ha effetti sia sulla forma che sull’oggetto. A volte l’equilibrio tende verso la scrittura. Allora chi scrive si trova nel paradosso di parlare di un sé che non coincide con sé, trasformandosi nel personaggio della propria storia. Fino a non trovarsi più, rimbalzato tra soggetto e oggetto che sono il medesimo senza esserlo. A volte l’equilibrio tende verso la conversazione. Allora chi parla si trova nel rischio di credere fermamente in quello che dice, smontando il presupposto dell’intreccio comune delle voci e mettendosi a predicare da solo, nel deserto. Fino a provare (nei casi migliori) vergogna di sé. La vita del blogger è complicata, squilibrata e senza vero riposo (faccina ammiccante) (parlo di scrittura e divento logorroico: allora mitì ha ragione!)
April 30th, 2004 at 17:27
[le dichiarazioni di intenti e i contratti coi lettori]
La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.(Gabriel Garcia Marquez)
[devo averlo letto da qualche parte]
April 30th, 2004 at 17:40
Giovannino Guareschi (il primo che mi viene in mente, ma anche Jerome e molti altri) ha divertito, commosso, interessato, coinvolto milioni di lettori in tutto il mondo (è tutt’ora tradotto in più di 30 lingue) raccontando proprio cose piccole come il mal di gola della Pasionaria o le discussioni con Albertino o i battibecchi con Margherita (moglie). Storie piccole di un piccolo mondo. L’importante è COME si raccontano le cose, tutto qui 🙂
April 30th, 2004 at 20:05
L’importante è poter raccontare cose, se lo si vuole fare. Che si possa decidere il “come” (scusami mitì se non posso in questo essere d’accordo con te, ma lo sai che estremizzo spesso i concetti) è già marketing. Forse. 😉
April 30th, 2004 at 21:15
E’ “saper” raccontare le cose. Il mio come era riferito al “modo”, fluidità di scrittura compresa, capacità di catturare interesse, linearità dell’esposizione, inventiva e conoscenza della sintassi (che non guasta mai…e qui ci vorrebbe una faccina scherzosa, ma è proibito)
April 30th, 2004 at 21:27
Massimo: il marketing non è cosa brutta e cattiva…
Poeta: mi manda un’e-mail con la parafrasi del suo commento?
Don Gonio: sono commosso (e due: sto diventando vecchio).
April 30th, 2004 at 22:37
Sergio: neppure le provocazioni lo sono, credo. (sul brutto e cattivo, termini da me mai usati né pensati, poi ci mettiamo d’accordo) 😉
Mitì: sono d’accordo, tranne per la misteriosa (per me) proibizione delle “faccine”. Confesso che non piacciono molto neppure a me, ma mi piace meno, almeno in questo, il teutonico verboten. E quindi, a meno non vi sia una qualche ragione che abbia a che vedere con il rispetto di qualcuno: ari;-)
April 30th, 2004 at 23:43
Si racconta, come si cucina, per pochi, per tanti o per sé stessi. Ma finché mi piace e mi diverto, e finché ci sarà qualcuno (anche solo io) che sta bene a tavola con me, io cucino.
May 1st, 2004 at 10:34
Insomma, non ci si può allontanare un momento. Prima smarrisce la strada (e l’orologio), poi smarrisce anche la ragione, Sir. E meno male che ci sono gli altri che l’aiutano a ritrovarla.
Ora, io vorrei solo invitarla a rileggere il post qui sotto. Quello di Giovanni, per intenderci. E chiederle se davvero non c’è interesse in un accanito giocatore di ramino. O in un vecchio, rugoso e sorridente, seduto in un pub scozzese. O mi dica che mi ha ammorbato la vita con dei guanti pennuti e giallo sole.
Ma mi faccia il piacere…
Massimo: la “proibizione” è solo una forma di rispetto per le idiosincrasie del padrone di casa (altrimenti detto “il Cavaliere della Serietà”) nei confronti di questa “bassa” forma di comunicazione chiamata emoticons. Solo per questo, ce ne asteniamo… un gesto d’affetto, insomma. Va meglio, così?
May 1st, 2004 at 12:39
è così oscuro, Sir? Eppure mi pare una semplice descrizione di esperienze comunissime.
May 1st, 2004 at 13:29
Riccionascosto: grazie della precisazione. [PS: non conoscevo l’idiosincrasia in questione, che peraltro offre, mi sembra, interessanti spunti di riflessione. Mi unisco, ovviamente, alla forma di rispetto e saluto con simpatia Sergio. Senza “emoticons”, quindi.]
May 1st, 2004 at 14:47
Riccio, cerco di spiegarmi. La scrittura nasce dalla vita, la propria. A meno che non si faccia astrusa fantascienza, e allora le cose cambiano. Ma c’è differenza tra il raccontare le cose proprie per il gusto di parlare di se stessi, ed il raccontare le cose proprie per provare a descrivere un pezzo di mondo che è altro da sè.
Si ricorda i post sul mi’ babbo carabiniere? Li ho scritti non per raccontare di me, ma di tante persone unite da un’esperienza comune.
E lo stesso potrei dire della serie “Cinque birilli”. Non mi interessa raccontare un bar, provo a raccontare persone per (parola grossa) raccontarne mille altre identiche a quelle che stanno intorno a quel tavolo da biliardo.
Non so se ci riesco, ma è quello che cerco di fare. Ed è quello che volevo dire. Io non sopporto chi parla solo di se stesso, figuriamoci se potrei sopportarmi a comportarmi in quel modo.
Massimo, grazie. Ognuno ha le sue manie, cosa ci vuoi fare.
May 1st, 2004 at 15:44
Sergio, prego. PS – Credo sia semplicemente impossibile riuscire a parlare SOLO di se stessi. Pensa alle opere di alcuni poeti, per esempio. Credo invece sia più che possibile cercare di trovare in quello che scrivono altri SOLO ciò che ci somiglia, che appartiene solo a noi stessi. (sì, ci vorrebbe un largo smile di simaptia adesso, ma, ok, mi autocensuro)
May 1st, 2004 at 18:17
Sir, appunto per questo che lei dice la frase “mi tocca chiudere il blog” era fuori luogo. O meglio, era fuori luogo il PS. Perchè? Suvvia, rilegga i commenti. Anche il mio. Che si richiamava, in fondo, al “come” si raccontano le cose di cui parlava Mitì.
Se posso aggiungere una cosa… a volte l’assenza di emoticons non aiuta, ma credevo mi conoscesse meglio. Ed io avevo quasi dimenticato di avere davanti il Cavaliere della serietà (qui ci vorrebbe una linguaccia o una strizzatina d’occhio… faccia conto di averle ricevute entrambe)
Massimo: di niente. E’ stato un piacere. Sabrina
May 1st, 2004 at 21:07
Il PS era un po’ forzato, lo so. Ma solo un po’; perchè, a prendere davvero sul serio le parole di Tom Wolfe, sarebbe l’unica soluzione. E infatti, rimane sempre un’opzione aperta.