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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    20/11/2006

    Nomen omen

    Filed under: — JE6 @ 12:06

    Se il Milan andasse definitivamente a giocare a Vigevano, o la Roma a Viterbo, avrebbero il diritto di continuare a chiamarsi Milan e Roma?
    A San Francisco pensano di no, e vogliono fare una legge per impedire ai 49ers di mantenere il loro nome quando si sposteranno a Santa Clara.
    NYT (in abbonamento gratuito)

    Come Nero Wolfe – Reprise

    Filed under: — JE6 @ 11:00

    Leggendo la storia di Renato Farina, in arte Betulla, raccontata da Filippo Facci, mi viene da dire che no, Giuliano Ferrara non ha ragione; io – se mai avessi letto gli articoli di Betulla, in arte Renato Farina – mi sarei formato delle opinioni influenzate non da altre opinioni, bensì da distorsioni dei fatti più o meno clamorose. Non ho un’opinione estremamente alta del giornalismo e dei giornalisti, ma non ce l’ho nemmeno così bassa.
    Il Giornale, via Macchianera

    Come Nero Wolfe

    Filed under: — JE6 @ 08:55

    Ci sono diversi elementi assolutamente disperanti nell’editoriale che Giuliano Ferrara ha scritto l’altroieri per massacrare Massimo Mucchetti, vicedirettore del Corriere della Sera che ha scritto un libro sui retroscena di un caso di spionaggio informatico che ha interessato il Corriere medesimo poco più di due anni fa.
    Il primo è l’ennesima e apparentemente definitiva affermazione del completo e giustificato asservimento dei giornalisti agli interessi del proprio editore: “L’autore [Mucchetti, ndr] finge di non sapere che i giornalisti sono lavoratori dipendenti, che il loro padrone non è il lettore ma l’editore, che l’editore non è un contropotere ma un potere tra i poteri, e che quel potere stipula regolari compromessi ad ogni latitudine e longitudine con lo stato, i partiti, le lobby e le altre potenze sociali“, scrive Ferrara.
    Il secondo è che a Ferrara sembra non interessare minimamente il concetto di informazione (termine che infatti non figura mai nel suo articolo), ma unicamente quello di formazione della pubblica opinione, che pare essere nè più nè meno di un esercizio di statistica: ognuno mette in bocca al lettore la sua polpetta più o meno avvelenata, e sta poi al lettore stesso calcolare la media ponderata di ciò che ha sentito (o letto, o visto) per crearsi il quadro dei fatti e la conseguente opinione, facendo la tara di tutte le falsità o distorsioni o parzialità che – lecitamente, secondo Ferrara – gli vengono propinate, e a pagamento. Insomma, ognuno di noi è un Nero Wolfe che si trova a dover risolvere un inghippo, lavorando di intelletto: peccato che (quasi) nessuno di noi disponga di un Archie Goodwin da sguinzagliare per la città alla ricerca della vera verità.
    Il terzo, dulcis in fundo, è la quasi ovvia conclusione che “siamo tutti così, e quindi meglio che nessuno si atteggi a vergine in mezzo alle puttane”; almeno, è così che intendo la conclusione dell’articolo: “se sei come tutti impaludato nella vita, con le scarpe schizzate di fango, non ti coprire di profumi indiani. E’ stucchevole.”
    Il quarto elemento disperante, in realtà, è tutto mio, e si può facilmente sintetizzare così: e se Ferrara avesse ragione?
    Feltrinelli