Bancone di un grosso bar-ristorante-pizzeria-bruncheria di Largo Cairoli [1]. Domenica, tre del pomeriggio. Non c’è il pienone, ma un buon numero di persone sì. Chiediamo due marocchini [2]. Come al solito, offro alla persona corta un po’ di schiuma, che è l’unico motivo per spendere dieci centesimi in più. Mentre beviamo il caffè, dall’altra parte del bancone arriva una mano che vi appoggia una tazzina. Identica alle nostre: ma piena di schiuma. La ragazza sorride, fa cenno con la testa verso la persona corta, poi si volta verso gli altri clienti.
[1] Non ricordo il nome, scusatemi. Siete quelli che hanno preso gli spazi del vecchio night club e della gelateria Viel. Avremo perso due pezzi di storia della città, ma forse ci abbiamo guadagnato.
[2] Come si chiama dalle vostre parti? Parlo di una specie di microcappuccino, servito nella stessa tazzina dell’espresso. A Torino, Dio ne conservi i baristi, ne ho bevuti di magnifici, arricchiti di crema gianduja o di Nutella.