Il giorno dopo
Ieri sera, come la grandissima parte dei miei connazionali, ho passato più di due ore senza staccare gli occhi dal televisore, che faceva vedere dieci omini vestiti di blu ed uno vestito di *** (io non lo so definire, quel colore, abbiate pazienza) provare a vincere una partita di calcio battendo dieci omini vestiti di bianco ed uno vestito di nero. Sono stato lì, accavallando e scavallando le gambe, alzando le braccia al cielo, sospirando, roteando gli occhi, sentendo in bocca il sapore appiccicoso della tensione, passando dal punto più alto a quello più basso della sinusoide dell’emozione. Come è finita, lo si sa: grida, baci, abbracci, incredulità, allegria, felicità in sedicesimo.
Sarebbe stato bello se fosse finito tutto lì, ieri sera, chi si buttava nelle fontane e chi stava sul divano, ad ascoltare nel buio i clacson, le trombe, i gruppi di persone che gridavano frasi sconnesse.
Invece, arriva il giorno dopo. Arrivano le articolesse, le analisi sociologiche, gli editoriali degli psicoterapeuti, quelli che vorrebbero far credere che una ventina di uomini possono non rappresentare, ma addirittura essere ciò che sono sessanta milioni di loro concittadini, arriva la retorica con la maiuscola, arriva il troppo che stroppia. D’accordo, è il prezzo da pagare per una serata che ci ricorderemo per tanto tempo, forse per sempre. Si può sopportare, in fondo. Però.