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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    13/11/2008

    Non più

    Filed under: — JE6 @ 17:04

    Mi è sempre piaciuto vedere la speranza, sia quella tagliata con l’accetta dei telefilm di terz’ordine sia quella profonda e ruvida di San Paolo. Non mi è mai piaciuto coltivare illusioni, ed è per questo che, se potessi, risponderei a Sofri-quello-anziano “non mi interessa quando è stata l’ultima volta che qualcuno mi ha illuso: è che io non voglio essere disilluso, non più”.
    Repubblica.it, via Wittgenstein

    03m:13s

    Filed under: — JE6 @ 08:31

    Tre minuti e tredici secondi.
    Non è quello che pensate – e poi, direi che sarebbero affari vostri; è il tempo di permanenza di un lettore medio su questo blog.
    Tre minuti (e tredici secondi) sono pochi e tanti al tempo stesso.
    Sono pochi, perchè il tempo vola e tre minuti sono lo spazio di un caffè accompagnato da quattro chiacchiere (veloci) con un collega, sono un soffio durante il quale si riesce a malapena a fare un saluto, figuriamoci se si può argomentare qualcosa – o cogliere quell’argomentazione.
    Sono tanti, perchè il tempo è poco per tutti e tre minuti sono una piccola fetta di tempo ritagliata agli impegni, alle corse, alle scadenze, e in fondo questo è solo un blog, cioè qualcosa del quale si può fare a meno senza alcun problema per la propria sopravvivenza fisica ed intellettuale (e poi: tre minuti qui, e due là, e cinque da quell’altro; ci siamo capiti).
    A me sembra sempre un’enormità che parecchie centinaia di persone ogni giorno spendano tre minuti e tredici secondi del loro tempo da queste parti. Io non so se lo farei. Ma, in fondo, importa qualcosa? Direi di no. E allora, grazie.
    [In realtà, è piuttosto probabile che quei 03m:13s siano il frutto di browser lasciati aperti e dimenticati: però dirlo è talmente poco poetico, non trovate?]
    [Era un po’ che volevo scrivere questo post, non avendo evidentemente nulla di meglio da donare all’universo mondo. Poi, questa mattina ho letto questo post di Massimo, e in particolare il paragrafo dove si parla di accesso calmo alle informazioni. Posto che su questo blog di informazioni non ne vengono date, è comunque una riflessione che mi interessa.]

    12/11/2008

    Per dirla con un giro di parole

    Filed under: — JE6 @ 17:07

    Premetto che sono in una fase di scazzo politico di cui non vado orgoglioso ma della quale non vedo, purtroppo, la fine. Detto questo, a me le votazioni che vanno deserte, i do ut des, i nomi non percorribili o percorsi a dispetto dei santi (e dei poeti, e dei navigatori, e financo dei propri elettori), i gne gne gne, le vigilanze non vigilate e non vigilanti, la figurina di Pecorella contro la figurina di Orlando, ecco: tutta questa roba, questo spettacolo (si usa chiamarlo così, potenza degli eufemismi) mi ha stancato e mi fa schifo. Non so dire se mi fa schifo perchè mi ha stancato o se mi ha stancato perchè mi fa schifo. Davvero, non è rilevante. Mia figlia, la ex persona corta che non ha ancora compiuto otto anni e le sue amichette sono spesso decisamente più mature tanto di me quanto della nostra sconfortante classe politica. Io, almeno, non governo – quel che si dice la limitazione del danno.

    11/11/2008

    D’accordo, aspettiamo. Intanto, però

    Filed under: — JE6 @ 19:08

    Occhio e croce, Obama è stato eletto e il mondo è ancora quello di una settimana fa.
    [Ma fra un po’ sarà migliore di sicuro, lo so]

    Un post un po’ british

    Filed under: — JE6 @ 18:50

    Ma quanto caldo fa?

    10/11/2008

    Un’ottima annata

    Filed under: — JE6 @ 18:03

    Magari ce l’avete anche voi: un anno della vostra vita di cui avete capito il valore soltanto dopo, magari molto tempo dopo. Un anno che lì per lì avreste voluto cancellare dalla vostra vita, e che invece oggi tenete stretto come una cosa preziosa.

    09/11/2008

    Half a mile away

    Filed under: — JE6 @ 10:21

    E’ piena di gente, l’Università. Anche se è sabato, è piena di gente. Liceali invitati a fare un giro in quel che potrebbe essere il palazzo nel quale passeranno i prossimi cinque o sei anni della loro vita, laureandi in toga che finiscono oggi quegli anni, madri in tailleur, padri in cravatta, fratelli nel loro miglior personal dress code. Mi guardo intorno un po’ smarrito, non metto piede in via Bocconi da almeno dieci anni ed è tutto diverso, mi perdo, chiedo indicazioni, ritrovo le strade ma non i luoghi. Guardo l’orologio, considero il traffico, mi rimetto in macchina. La mia Università non è mai stata un tempio di sfarzoso fighettismo, nemmeno ai tempi della Milano da bere, nemmeno ai tempi dei diciottenni vestiti da manichini dei Grandi Magazzini Publitalia, blazer blu pantaloni grigi scarpe di cuoio inglesi valigetta rigida e Sole 24 Ore sotto braccio, uno come me che veniva da una famiglia padre carabiniere e madre casalinga poteva riuscire a non sentirsi a disagio. E in effetti, non mi sono mai sentito a disagio, se non in rarissime occasioni. Percorro i trecento metri che mi portano alla circonvallazione, svolto a destra, vedo un assembramento di persone sul marciapiede e macchine in doppia fila. Rallento, butto un occhio. E’ la sede della Società del Pane Quotidiano, la sede storica di Viale Toscana 28; vedo bambini, molte donne con il velo, un pezzo di mondo che si muove da diecimila chilometri di distanza per trovarsi a chiedere pane e yoghurt qui, ai bordi della presunta ricchezza di Milano. Vedo anche facce più conosciute, vedo giacche lise che una volta portavano i loro padroni a passare otto ore in un ufficio, vedo pensionati o impiegati che hanno perso il lavoro, o che non arrivano alla fine del mese con quel che guadagnano, vedo mie fotografie, vedo me stesso in fila con gli occhi bassi a dire grazie a qualcuno che mi ha permesso di scavallare un’altra giornata. A trecento metri si festeggiano le lauree e si pianificano futuri volutamente radiosi; a trecento metri si prova a tirare sera. Passo oltre, il semaforo è ancora verde, accelero. Spengo la radio.

    07/11/2008

    Approfittatene ora, o mai più

    Filed under: — JE6 @ 12:37

    Assecondando una crisi di stanchezza e un poderoso calo glicemico, il titolare qui cede al suo personale svacco. I commenti di questo post sono aperti agli emoticon.

    Il mondo nuovo

    Filed under: — JE6 @ 08:18

    Io capisco l’entusiasmo, che è una cosa bella e ne dovremmo avere tutti un po’ di più eccetera eccetera. Ma voi vi siete davvero svegliati in un mondo nuovo e migliore, dopo l’elezione di Obama? Così, per prudenza: non era il caso di limitarsi a sperare che queste magnifiche sorti e progressive si possano davvero realizzare, rimandando queste celebrazioni che sfiorano (e purtroppo, ogni tanto oltrepassano) il ridicolo a dopo il loro compimento?

    06/11/2008

    Faccio cose, vedo gente

    Filed under: — JE6 @ 19:20

    Parto almeno un’ora in anticipo, che tanto svegliarsi presto non è mai stato un problema, per tenermi la stessa ora libera, prima dell’appuntamento. Passo il traffico di Cormano e di Sesto, ascolto Massimo Teodori tradurre “the dream” come “il dramma”, guardo i vigneti del veronese, rallento sul più bel chilometro di autostrada italiana (quello dove si costeggia l’Adige all’altezza di Rovereto), e seguo per la Strada del Vino. Parcheggio ad Appiano, faccio quattro passi, mi siedo all’aperto per mangiare uno strudel e mi rendo conto che anche questi posti, dove ho trascorso uno degli anni più felici della mia vita, sono cambiati perchè questa keller è gestita da cinesi che tra loro si parlano in lingua natia, a me si rivolgono in un italiano stentato come quello del commilitone al quale dovevamo tradurre gli ordini dei caporali istruttori e alle signore del tavolo vicino in un tedesco improbabile tanto quanto il mio – e lo strudel, beh, insomma. Torno al parcheggio, i bambini della scuola elementare sono tutti all’aperto a godersi l’intervallo e i colori degli alberi e il sole, un nonno con il solito grembiule blu si ferma al cancello e la nipote gli corre incontro per salutarlo mentre le maestre chiacchierano tra loro. Mi siedo su una panchina, scrivo due mail, mi faccio dare del Nanni Moretti, rispondo alla telefonata di una cliente che sembra sull’orlo di una crisi di nervi – quando ci vediamo ti racconto, va bene ti racconterò anch’io. Vado a trovare il mio cliente che sta preparando i prezzi di trentamila prodotti (trentamila? stai scherzando, vero? magari, sospira lui). Sono di fretta, devo essere a Milano entro le cinque, ci salutiamo, ti passo tutto la prossima settimana, sbaglio l’ingresso in una rotonda, rifaccio il giro della zona industriale sud di Bolzano, si scarica il condizionatore della macchina, cerco uova e speck e tutto ciò che trovo è una bruschetta – ma come, cazzo, una bruschetta sulla Weinstrasse, perdio – mi butto ancora in autostrada, all’uscita di Ala Avio mi viene in mente Riva del Garda e il viaggio di ritorno fatto sotto un cielo uguale a quello di oggi, rivedo i vigneti tra Verona e Sommacampagna, faccio coda sulla tangenziale nord, riesco ad arrivare in ufficio con venti minuti di anticipo su seicentoquaranta chilometri di strada – “l’avvocato è rimasto a Roma, ci vediamo noi tra venti minuti”. Per bere, bevo; forse dovrei iniziare a fumare, non so.