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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    26/01/2007

    Comfortably numb

    Filed under: — JE6 @ 16:00

    Il grande pregio degli storici è quello, in fondo, di presentarti in tavola la pappa pronta. Hanno studiato, hanno scavato, hanno letto e confrontato, e il risultato dei loro sforzi sta lì: trecento anni in trecento pagine. Con un inizio e una fine, e una logica che lega gli eventi; azione, reazione, causa, effetto. E’ rassicurante, a ben vedere, come un film con John Wayne: capisci che cosa succede, così ti puoi permettere di schierarti, non importa se con gli indiani o con le giubbe blu.
    Invece, il quotidiano, l’hic et nunc è una specie di continua proiezione dei Soliti Sospetti, la pura rappresentazione della teoria del caos, di fronte alla quale lo spettatore (che, peraltro, del caos medesimo è anche protagonista) ha due possibilità: prendere fortemente posizione, sapendo di sbagliare perchè il-mondo-non-è-in-bianco-e-nero, oppure sforzarsi un po’ e poi alzare le mani ammettendo onestamente: ragazzi, non ci capisco un cazzo.
    Prendi le storie e i punti di vista raccontati in questo post di Petunias’: la descrizione dell’Attila della cultura italiana – quello che ha ucciso Eduardo de Filippo schiacciandogli la testa fra le tette di Tinì Cansino – che però è anche l’unico che paga gli stipendi e, udite udite, i contributi previdenziali. E la descrizione di coloro che la cultura la creano e la divulgano davvero ma ti affamano come neanche la Thatcher con i minatori. Insomma, come ne vieni fuori, se non tirandotene fuori? C’è un’altra soluzione?
    ThePetunias’

    Scampato pericolo

    Filed under: — JE6 @ 13:36

    Quest’uomo è un geniale [1], pericoloso pazzo. E io, una sera, ci ho pure cenato insieme.
    Zoro

    [1] Per intenderci, questa definizione di Ronaldo (un rifiuto riciclato raccolto in maniera indifferenziata) non è sublime?

    Flags of our… who?

    Filed under: — JE6 @ 12:02

    Ieri pomeriggio, nel parcheggio di un grande gruppo grafico della provincia reggiana, guardavo il grande cancello dal quale passano ogni giorno decine di tir e centinaia di automobili, tutti accolti da due pennoni sui quali sventolano la bandiera italiana e quella europea – e provavo a darmi ragione del mio stupore nel veder sventolare quei pezzi di stoffa, spettacolo comune nel più piccolo drugstore del più sperduto paesino dell’Iowa ma talmente raro da queste parti da essere appunto notato e citato come tale. Poi, siccome faceva freddo e tirava vento, ho lasciato le bandiere al loro destino (migliore del mio, credo, ma meno felice di quello della bandiera croata che ho trovato nella sala riunioni).