Pozdrowienia z Warszawy – 4. Tra il bianco e il nero
Varsavia è una città di grandi spazi. Grandi viali, case distanti l’una dall’altra. Mi chiedo come sia con il sole, se la libertà di movimento dei raggi riesce a farla brillare oppure se il suo colore tipico è quello del cielo ferroso che sta sputando nevischio ghiacciato dalla notte scorsa. Guardo i palazzi, e molti di loro sono ricoperti da quella patina grigiastra di – cosa: sporcizia? inquinamento? semplice invecchiamento? – che mi aveva tanto colpito a Bucarest: come se ogni muro portasse su di sè un retino, un venti-trenta per cento di nero. Eppure Varsavia non è Bucarest, qui non avverti la povertà, la fatica e la paura di non arrivare alla fine del mese – anche se un paio di mendicanti assolutamente insospettabili all’apparenza mi hanno chiesto qualche zloty, con mia notevole sorpresa. Non riesco a farmi un’idea di questa città, che mi sembra sospesa tra nord e sud, tra est e ovest tenendo forse qualcosa di tutti e quattro i punti cardinali – e finendo così per non essere nessuno di loro.