Two Hearts
Le compagnie, i gruppi – quelli che funzionano, quelli che tengono – sono così: ognuno è bravo a fare qualcosa, ognuno fa da contorno agli altri. C’è il più forte a calcio, quello più svelto di tutti a far di conto, quello che con la chitarra in mano sa suonare qualsiasi cosa, quello che sa costruire un muro e coltivare un orto, quello che viaggia e ha sempre un racconto pronto, quello che sa far ridere, quello che parla poco ma se dice “ehi ragazzi” tutti si fermano e fanno silenzio. C’è un assolo per ciascuno, e ci sono quei momenti nei quali tutti sentono di essere parte di qualcosa di più grande, quei momenti senza io, e con solo noi.
A volte succede che qualcuno lascia, e non per sua scelta: un incidente, una malattia. Tutti dicono che la vita va avanti, ed è vero, ma non continua come prima. Certe cose non le fai più, o non sono più le stesse – la partita di calcio su un pezzo di asfalto in un sabato pomeriggio di aprile, i racconti di ufficio dopo la terza birra del venerdì sera: nessuno è indispensabile ma tutti vogliono evitare di ripassare su quella strada di montagna dove l’amore del tempo aveva il sole in faccia e sembrava la persona più bella del mondo. Se puoi, certe cose le smetti, anche se potresti farle ancora: un altro che suona l’organo, o il sassofono lo sai che lo trovi, ma non sarà mai il tuo amico che non c’è più. Allora fai altro, perché two hearts are better than one, ma a volte i cuori smettono di battere, e non riprendono più.