Il secondo del prima e del dopo
L’altoparlante annuncia il numero del treno, la stazione di partenza, quella di arrivo. La stazione è piena di gente, e di rumore. I pavimenti davanti ai banconi dei bar sono ricoperti di centinaia di piccole briciole di brioches. La coppia si avvicina al vagone, carrozza sette, otto, nove, dieci. Stanno uno al fianco dell’altra, senza toccarsi. A volte lui le cede il passo per farla incuneare nella folla che si sposta tra i binari come in una infinita transumanza di attese, poi la riaffianca. Si fermano a un paio di passi dagli scalini, ricontrollano il numero della carrozza, hai il biglietto a portata di mano, sì, fa un caldo tremendo, sì, per fortuna sul treno c’è l’aria condizionata, adesso ti riposi, hai l’aria stanca, lo so, cerco di dormire un po’. Lei prende dalla tasca posteriore dei jeans il telefono, guarda le ore, poi fa un sorriso timido e sfinito. Si abbracciano, e entrambi sentono sulla pelle il caldo e il velo di sudore che copre il volto dell’altro, e chiudono gli occhi. Restano così per un secondo di più, e quel secondo contiene e spiega tutto, il prima e il dopo. Fai buon viaggio, sì, sali, il trolley te lo porto su io, grazie. Lei fa ancora un piccolo cenno con la mano, lui sorride e volta le spalle, fa cinque passi, prende il telefono, cerca il numero di lei, apre i messaggi e inizia a scrivere.