Greetings from Beijing – Fiori
Sono passati trentasei anni dalla morte del “Quattro volte grande”. Di lui si è detto tutto, e certamente tutto il peggio che si poteva dire: la follia della Rivoluzione Culturale, le carestie, le decine di milioni di morti a causa delle sue politiche (e dei più realisti del re: che ci sono sempre, e sono sempre i più pericolosi). Eppure la sua enorme fotografia sta lì, all’ingresso della Città Proibita, la casa degli imperatori. Eppure ogni mattina per quattro ore c’è un flusso costante di persone che si dispone su due file per poter vedere per pochi secondi il suo corpo nella teca di cristallo, vestito con l’uniforme verde e coperto dalla bandiera rossa, e tante di queste persone spendono tre yuan per comprare un fiore bianco da lasciare in omaggio una volta entrati nella prima grande sala, quella con la sua statua di marmo bianco, lui seduto con la gamba destra accavallata sulla sinistra e lo sguardo placido e duro di chi conosce il proprio potere. Trentasei anni sono un’eternità, in trentasei anni la Cina è diventata quel che abbiamo sotto gli occhi e il mondo intero è un’altra cosa; ciò nonostante siamo andati in piazza Tian’anmen, ci siamo messi in coda, chi l’aveva si è tolto il cappello, abbiamo comprato e lasciato il fiore bianco: avendo la sensazione che essendo qui fosse una cosa da fare, e tenendo il dubbio di esserci divertiti ad adorare il male per il gusto di poterlo dire agli amici. Questo, noi occidentali. Ma loro?