Il Giannino
Il Giannino arriva che è ormai sera, quando esce dall’ufficio.
Appena entra nella sala, si accende la sigaretta, perchè qui i ministri ed i salutisti li schifano sul serio – el Sirchia? ma che vada a daa via el cu – e a lui non pare vero, dopo una giornata di astinenza, di potersi fare due tirate in santa pace.
Il Giannino scambia due parole con il barista, passa attraverso i tavoli del ramino e si avvicina ai tavoli, dove si ferma a guardare. Non gioca, e non chiede di farlo, perchè ha una malattia che lo sta rendendo cieco. Fino ad un paio di anni fa, aveva la patente. Adesso, che ha delle lenti che neanche un telescopio, è costretto a girare su uno di quei trabiccoli con il motore di un vecchio Garelli. Quei pochi che lo conoscono e gli rivolgono la parola, lo prendono in giro per questo; lui ci ride su, a bocca storta, e se ne accende un’altra.
Il Giannino si chiama davvero così, e chissà cosa gli passava in testa, a suo padre e sua madre. E’ minuto come il suo nome, nervoso e umorale. Se ne sta lì, a finirsi la giornata con la cicca in una mano ed un bianchino spruzzato nell’altra; quando è in forma, o quando ha il morale sotto i tacchi, ordina un Campari, il che non fa altro che renderlo ancora più euforico o ancora più triste, mentre sui tavoli si provano gli ultimi tre sponde del pomeriggio.
Ha avuto tempi migliori, il Giannino. E’ stato un grande venditore, di sicuro, e se ci scambi due parole te ne rendi conto. Poi il divorzio, la malattia e la morte dei genitori, gli occhi ogni giorno un po’ più annebbiati, il lavoro che si fa difficile. Ma lui è ancora lì, giunco che si piega ma non si spezza, nei suoi vestiti stazzonati, macchiati di cenere e candeggina, i capelli radi e scomposti e la testa macchiata dalla tintura fatta in casa per essere ancora quello delle fotografie dei giorni belli.
Il Giannino se ne va a casa verso le otto, quando il bar vive nel limbo, vuoto, mentre i giocatori del pomeriggio stanno mettendo le gambe sotto il tavolo per la cena e quelli della sera ingoiano in fretta gli ultimi bocconi per poi preparare le stecche ed iniziare il turno serale. Si fa offrire dal barista un’ultima sigaretta, sfoglia un giornale lasciato su un tavolo, strizzando gli occhi per intuire i titoli di prima pagina.
Si infila il soprabito, poi esce, per andare a prepararsi due spaghetti conditi con una scatoletta di tonno. Lo aspettano due gatti, ed un televisore di fronte al quale si addormenterà vestito, con la cenere che cade lentamente dall’ultima sigaretta della giornata. La prossima, la fumerà domani sera, quando entrerà nel bar ed ordinerà un bianchino spruzzato.