Camper
Magari mi sbaglio, ma ho l’impressione che una parte non irrilevante della blogosfera (!) che ero uso frequentare si sia trasformata in una compagnia di giro che, come la carovana del Tour de France passa da Pau a Hautacam e da Lanemezzam a Foix e da Lavelanet a Narbonne, si sposta da un ActionCamp ad un BarCamp Matera, da un I Word Camp ad un MicroCamp, da un LitCamp ad un CampCamp. Con la differenza che, mentre la carovana del Tour de France dopo tre settimane arriva a Parigi e lì si ferma, quella dei barcamper nostrani è instancabile – forse perchè al posto dei canonici giorni di riposo sostituisce opportuni pit stop sotto forma di aperitivi organizzati da riviste o più pensose conferenze culturali.
Sia chiaro: qui non ci si ritiene migliori rispetto a chiunque altro nell’impiego del proprio tempo, sia esso lavorativo o libero – basti pensare alle molte centinaia di ore passate con la schiena china su un tavolo verde nel tentativo spesso vano di abbattere piccoli birilli con una biglia comandata da una stecca di alluminio.
E’ che leggendo le cronache semiserie di questi eventi mi sono fatto l’idea che essi abbiano perso – se mai l’hanno avuto – quasi ogni tipo di “contenuto”, se si fa eccezione per quello alcoolico. Esagero, naturalmente: ma al ritmo di un BarCamp a settimana, spesso frequentato in larga misura dalle stesse persone, mi chiedo alla fine di cosa si possa parlare se non del più e del meno. E’ un po’ come dire una parola, una qualsiasi, e poi ripeterla per cento o mille volte di fila: alla fine si riduce ad un ammasso di vocali e consonanti senza più senso. Le marche e i marchi, come quelli che fanno il mio mestiere sanno sin troppo bene, per avere un valore devono essere, avere e comunicare un’esperienza: quale sia l’esperienza dei BarCamp nostrani, a me che sto diventando sempre più unsocial, sfugge quasi completamente – e chissà se c’è qualcuno che ha voglia di spiegarmela.